Con un nuovo ordine esecutivo, l’amministrazione Trump ha deciso di riaprire alla pesca commerciale un’area marina tra le più protette al mondo, il Pacific Remote Islands Marine National Monument, situata nel cuore dell’Oceano Pacifico. Un santuario ambientale che, con oltre 1,2 milioni di chilometri quadrati di acque, ospita alcune tra le barriere coralline più intatte del pianeta e una vasta gamma di specie in via di estinzione, tra cui balene, squali e uccelli marini. Istituito nel 2009 da George W. Bush e ampliato nel 2014 da Barack Obama, questo monumento marino era diventato un simbolo della conservazione oceanica e della lotta ai cambiamenti climatici.
Ora, con la firma di Trump, una parte di queste acque tornerà accessibile alla pesca commerciale. Un’inversione di rotta che allenta le restrizioni per i pescherecci battenti bandiera americana e, in certi casi, anche per quelli stranieri, se utilizzati per il trasporto del pescato statunitense. L’obiettivo dichiarato? Secondo Trump, rimuovere un ostacolo alla competitività dell’industria ittica nazionale, penalizzata – a suo dire – dalle normative ambientali troppo stringenti che avrebbero costretto i pescatori americani a spingersi sempre più lontano, in acque internazionali, per sfuggire alle regole e competere con flotte straniere “sovvenzionate e scarsamente regolamentate”.
La denuncia di scienziati e ambientalisti
Per il presidente, la pesca commerciale può essere “correttamente gestita” senza mettere a rischio gli ecosistemi o gli oggetti di interesse scientifico presenti nell’area. Ma per scienziati e ambientalisti la riapertura rappresenta una minaccia concreta a uno degli ambienti marini più fragili e incontaminati, già sotto pressione per l’aumento delle temperature oceaniche, l’acidificazione delle acque e la perdita di biodiversità.
L’iniziativa si inserisce in una più ampia strategia dell’amministrazione Trump, tornato alla Casa Bianca con l’intenzione di smantellare molte delle tutele ambientali introdotte negli ultimi decenni. Il nuovo corso include anche la revisione di regole considerate “troppo restrittive” per l’industria, in nome della crescita economica e della sovranità produttiva americana.
Ma il fronte anti-ambientalista dell’ex tycoon non si ferma alle politiche di gestione delle risorse naturali. Secondo fonti dei media americani, la Casa Bianca starebbe preparando un altro colpo contro chi difende l’ambiente: un ordine esecutivo che mira a togliere le esenzioni fiscali alle organizzazioni non profit che operano in questo ambito. L’annuncio potrebbe arrivare simbolicamente il 22 aprile, nella Giornata della Terra.
Un attacco a tutto campo
Dietro la mossa, la volontà di indebolire quelle realtà che – secondo l’amministrazione – ostacolano l’espansione della produzione di carbone e petrolio, pilastri della visione energetica trumpiana. Un provvedimento del genere avrebbe effetti potenzialmente dirompenti: non solo rischierebbe di mettere in difficoltà molte Ong ambientali, ma potrebbe colpire anche fondazioni filantropiche e organizzazioni civiche, spezzando un equilibrio consolidato tra società civile e Stato in materia di tutela ambientale.
Dall’oceano Pacifico alle sedi delle Ong, si delinea così un’offensiva a tutto campo: in nome della libertà economica, il presidente cerca di rimuovere ogni barriera che limiti l’attività delle industrie più inquinanti. Una crociata contro l’ambiente, condotta a colpi di decreti e deregolamentazione, che rischia di lasciare il segno ben oltre i confini americani.