5 Maggio 2025
/ 5.05.2025

Sentinelle dell’Amazzonia: la Guardia indigena contro la deforestazione

Lo Stato è assente e quindi la Guardia indigena di Caimito, nella foresta dell’Amazzonia peruviana, ha scelto di difendere il territorio con le proprie forze

Nel cuore della foresta amazzonica peruviana, nel distretto di Masisea, un gruppo di uomini e donne armati di archi e machete pattuglia silenziosamente la vegetazione lussureggiante. Non sono militari, né guardie dello Stato: sono i membri della Guardia indigena di Caimito, comunità Shipibo-Konibo che ha scelto di difendere il territorio con le proprie forze. Guidati da Abner Ancon, un insegnante di 54 anni, questi volontari si sono organizzati per combattere la deforestazione illegale e le attività estrattive che minacciano la loro terra e il loro modo di vivere.

Con giubbotti verdi e lo sguardo all’erta, vigilano su un’area di 4.900 ettari di foresta tropicale. I loro sensi sono allenati a riconoscere ogni suono insolito: tra questi, il rombo sinistro delle motoseghe che spesso annuncia l’ingresso di taglialegna abusivi.

Un fronte contro molteplici minacce

Caimito, piccolo villaggio di circa 780 abitanti, è oggi sotto assedio. Oltre ai trafficanti di legname, la comunità deve fare i conti con i coltivatori illegali di coca, che contaminano i corsi d’acqua con sostanze chimiche, con pescatori di frodo che svuotano i fiumi di pesce e con le attività dei mennoniti, gruppo religioso protestante che ha fondato numerose colonie agricole in America Latina, accusato di praticare una deforestazione sistematica per espandere i propri insediamenti.

“Ciò che conserviamo non è solo per noi, ma per tutta l’umanità”, afferma Ancon, che ha denunciato pubblicamente le minacce ricevute senza che le autorità intervenissero. Il suo gruppo, che in passato contava 80 membri, si è ridotto a 30 volontari, per lo più uomini. Molti sono stati costretti a lasciare la comunità per cercare lavoro altrove.

Difendere la foresta senza armi

La guardia forestale è nata due anni fa, come risposta diretta all’assenza dello Stato. È stata la prima tra le 19 forze di autodifesa oggi attive tra le 176 comunità amazzoniche dei Shipibo-Konibo. Nonostante la scarsità di mezzi – nessuna arma da fuoco, nessun sistema di comunicazione, solo un veicolo e alcune imbarcazioni – la guardia continua a operare con determinazione.

“Affrontiamo i pescatori che prendono tonnellate del nostro pesce”, racconta Hermogenes Fernandez, uno dei membri più anziani della pattuglia. Gli scontri, sebbene spesso tesi, avvengono sempre in modo pacifico. Ma non mancano i rischi: in passato alcuni volontari sono stati aggrediti e minacciati con armi da fuoco.

Una battaglia anche culturale

La resistenza degli Shipibo-Konibo è anche una forma di riaffermazione culturale. La foresta è la loro casa, la loro farmacia, la loro dispensa e la fonte del loro sapere millenario. Quando la pattuglia parte per una nuova missione, si raduna al centro del villaggio gridando all’unisono: “Guardia, guardia, forza, forza!”. È un gesto simbolico, ma potente, che richiama l’orgoglio di un popolo che non si arrende.

Una lezione per il mondo

La storia della guardia indigena di Masisea è emblematica di quanto accade oggi in molte aree dell’Amazzonia: l’assenza dello Stato, le pressioni economiche e l’impunità alimentano un sistema in cui le comunità locali sono lasciate sole a difendere i beni comuni. Ma è anche una storia di speranza e coraggio, in cui uomini e donne scelgono ogni giorno di mettersi in gioco per proteggere la foresta.

Il loro esempio è un monito per chi osserva da lontano: senza il sostegno alle popolazioni indigene, la battaglia per salvare l’Amazzonia è destinata a fallire. Serve un cambiamento urgente, che metta al centro i custodi naturali di questi ecosistemi, riconoscendo il loro diritto a esistere, a essere ascoltati, e a vivere in pace nella propria terra.

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