03.07.2023
Dislivello tra istruzione e competenza, costo del lavoro esasperante per le aziende, “contratti pirata” che falsano il mercato, sono molte le cause che portano a questa mancanza del personale, ormai cronica, che soffre il terziario nel nostro Paese.
Abbiamo visto che il problema del lavoro nel settore del terziario ha origini strutturali nel sistema Italia, a partire dal gap, che istruzione scolastica e universitaria hanno, rispetto alla formazione, che invece le aziende necessitano per l’inserimento. Formazione che, però, molto spesso, non sono loro a fornire e che in generale nel nostro Paese manca. Vediamo perché.
Gli atenei scientifici preparano i propri studenti in ambito di sviluppo e innovazione, quelli umanistici forniscono una preparazione di alto livello soprattutto teorica. In entrambi i casi, però, si tratta di specializzazioni che a molte imprese banalmente non servono. Il risultato è quindi quello di un dislivello tra le richieste dei datori di lavoro e le competenze di chi sta cercando un’occupazione. A questo si aggiungono la burocrazia e le spese necessarie per garantire la sopravvivenza di un’azienda o, ancora più gravose, quelle indispensabili per fondarne una. Senza dimenticare poi i costi che un contratto di lavoro dipendente necessita, da mettere in relazione con i ricavi che una qualunque impresa deve generare.
In Italia, rileva l’Eurostat, il costo medio del lavoro è di 29,4 euro all’ora, contro il 23,5 della Spagna e il 16,1 del Portogallo. Ma nel nostro Paese i costi non salariali sono del 27,8%, terzo dato più alto dell’intera Unione Europea. Non a caso, al Forum di Confcommercio a Roma, il Presidente Carlo Sangalli parlò del 40% del personale che manca al settore terziario definendolo «introvabile, soprattutto per mancanza di competenze». Si tratta di un gap che, secondo il rapporto ‘Terziario, lavoro, economia: per una nuova stagione di crescita, è colmabile solo con alcuni accorgimenti. Stante l’esigenza di contrastare i “contratti pirata”, che falsano il mercato abbattendo il valore della forza lavoro, è indispensabile concentrarsi su crescita e produttività. E quindi intervenire sulla distanza tra le professionalità formate dal sistema educativo e le opportunità offerte dal sistema produttivo. Quei fatidici investimenti sulla formazione, e non più sulla mera istruzione, che tante aziende faticano a implementare.
Non si possono infine ignorare le pessime condizioni garantite ai propri lavoratori da tante, troppe aziende dei settori turismo e pubblici esercizi. Secondo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, infatti, il 76% di esse presenta delle irregolarità, un dato che al Nord-Ovest del Paese presenta picchi del 78% e al Sud addirittura del 95%. Contratti in nero, salari bassi, precarietà, turni massacranti, che contribuiscono a incancrenire un problema i cui effetti si riverberano sul mercato del lavoro di tutta Italia.
Chiaro quindi che anche un intervento strutturale su questo tipo di problema, fin troppo diffuso, rappresenti un passo indispensabile per ridare slancio al settore terziario. Più profondi e in un certo senso complicati gli interventi da effettuare in ambito formativo, ma la strada almeno in teoria è tracciata. Occorre un piano preciso per metterla in pratica.