Nell’arco di un solo anno, da maggio 2024 a maggio 2025, circa metà della popolazione mondiale — più di 4 miliardi di persone — ha vissuto almeno un mese in più di caldo estremo rispetto a quanto sarebbe accaduto in un mondo senza cambiamento climatico. Non è un effetto passeggero né un’anomalia stagionale, ma la nuova normalità in un pianeta sempre più bollente. A rivelarlo è un’analisi congiunta firmata dal consorzio scientifico World Weather Attribution, da Climate Central e dal Centro Climatico della Croce Rossa, pubblicata in occasione della Giornata d’Azione contro il Caldo (2 giugno).
Il report è chiaro: tutti i 67 principali eventi di caldo registrati nell’ultimo anno sono stati resi più probabili dal cambiamento climatico. Le ondate di calore sono diventate più lunghe, più intense e, soprattutto, più frequenti, con un impatto che ormai tocca ogni angolo del globo. Secondo i dati raccolti, in 195 paesi e territori il numero di giorni di caldo estremo è almeno raddoppiato rispetto a un pianeta senza l’impronta del riscaldamento globale.
Le temperature impazzite e l’eredità fossile
Per “caldo estremo” lo studio considera le giornate in cui la temperatura supera il 90° percentile rispetto alla media del periodo 1991-2020, ovvero quei picchi che, un tempo eccezionali, ora si verificano regolarmente. In media, sono 30 giorni in più con temperature oltre questa soglia in confronto a un clima stabile. Alcune aree del mondo, come Aruba nei Caraibi, hanno toccato punte impressionanti: 187 giornate roventi in un anno, 45 in più della media attesa in un mondo preindustriale.
Non si tratta solo di un disagio: il caldo uccide. A testimoniarlo ci sono i numeri dell’ISGlobal di Barcellona, che stimano 13.000 morti legate al caldo estremo solo in Italia nel 2022. La media globale di decessi da caldo è dell’1% sul totale, ma in Italia si sale al 2,47%, tra le percentuali più alte d’Europa. E mentre le temperature continuano a salire, le infrastrutture sanitarie, agricole ed energetiche arrancano: i raccolti soffrono, le città diventano forni, il rischio incendi aumenta e le fasce più vulnerabili della popolazione — bambini, anziani, lavoratori all’aperto — pagano il prezzo più alto.
“Il cambiamento climatico è qui, e uccide”
La co-responsabile del World Weather Attribution, la climatologa Friederike Otto, non ha usato mezzi termini: “Questo studio dev’essere preso come un altro severo avvertimento. Il cambiamento climatico è qui, e uccide. Con ogni barile di petrolio bruciato, ogni tonnellata di anidride carbonica rilasciata e ogni frazione di grado di riscaldamento, le ondate di calore colpiranno sempre più persone. Tuttavia, ci sono buone notizie. Sappiamo esattamente come impedire che le ondate peggiorino: ristrutturare i nostri sistemi energetici rendendoli più efficienti e basati su fonti rinnovabili, non sui combustibili fossili, e creare società più eque e resilienti.”
Un messaggio inequivocabile che lega le scelte energetiche alla salute pubblica e alla sopravvivenza delle comunità. Le ondate di calore non sono eventi meteorologici isolati, ma sintomi evidenti di un sistema fuori equilibrio, alimentato dal persistente uso di carbone, petrolio e gas.
Adattarsi non basta, serve agire
Accanto al quadro globale, il rapporto propone anche delle soluzioni pratiche. I piani d’azione contro il caldo, dove applicati, hanno dimostrato di salvare vite, soprattutto quando combinano sistemi di allerta precoce, informazione capillare e supporto alle fasce fragili. Ma la maggior parte dei paesi del mondo non è ancora pronta: la raccolta dei dati è scarsa, il monitoraggio degli impatti incompleto, e le strategie di adattamento troppo spesso trascurate nei bilanci pubblici.
Serve un cambio di paradigma: non basta più adattarsi, bisogna tagliare le emissioni alla radice. Invertire la rotta non è impossibile, ma richiede volontà politica e una forte pressione pubblica.