9 Luglio 2025
/ 24.06.2025

Bankitalia, il nucleare in Italia non abbasserebbe il costo delle bollette

Il nuovo rapporto di Banca d'Italia (“L'atomo fuggente”) è una bella doccia fredda, firmata Via Nazionale, sui piani del governo per il ritorno dell'energia nucleare nel nostro Paese

Il nucleare non è la soluzione giusta per abbassare il costo delle bollette in Italia. Non lo dicono pericolosi ambientalisti, ma due economisti in un recentissimo rapporto di Banca d’Italia dal titolo “L’atomo fuggente”. Una bella doccia fredda, firmata Via Nazionale, sui piani del governo per il ritorno dell’energia nucleare nel nostro Paese. Lo studio, firmato da Luciano Lavecchia e Alessandra Pasquini, evidenzia come una reintroduzione del nucleare non avrebbe “significativi impatti sul livello dei prezzi” dell’energia elettrica. L’unico beneficio tangibile sarebbe infatti una minore volatilità dei prezzi, grazie alla possibilità di utilizzare contratti a lungo termine. Una cosa ottima, ma che si può ottenere anche con le energie rinnovabili.

L’analisi molto scettica dei ricercatori di Bankitalia mette in discussione diversi punti cardine della narrativa pro-nucleare. Ce n’è veramente per tutti i luoghi comuni spesso irresponsabilmente ripetuti senza fondamento. Il primo è la tanto sbandierata indipendenza energetica: come si sa, la riduzione delle importazioni di combustibili fossili verrebbe infatti compensata dalla necessità di importare tecnologia e uranio da “Paesi geo-politicamente poco affini all’Italia”. Basti pensare che il 43% dell’uranio mondiale viene estratto in Kazakistan, paese molto vicino alla Russia di Putin.

Il capitolo dei costi e delle tempistiche è particolarmente critico. Le tecnologie su cui punta il governo – i piccoli reattori modulari (SMR) dal 2030 e i reattori avanzati (AMR) dal 2040 – “non sono ancora disponibili per la commercializzazione”. Anche gli effettivi costi presentano “un’elevata incertezza”, proprio perché nella maggior parte dei casi non esistono ancora prototipi operativi. Per quanto riguarda l’impatto ambientale, il nucleare potrebbe contribuire significativamente alla riduzione delle emissioni di CO2, con un impatto “potenzialmente consistente”; tuttavia questo potenziale beneficio si scontra con le lunghe tempistiche necessarie per rendere operativa una nuova centrale, visto che per diventare operativa impiega da 10 a 19 anni. 

Il piano del governo prevede l’installazione di una capacità di circa 8 GW da nucleare tra il 2030 e il 2050, con un numero variabile (da 20 a una quarantina) di nuovi impianti che dovrebbero coprire la rispettabile quota dell’11% del fabbisogno elettrico nazionale. Ma secondo il paper di Bankitalia si tratta di uno scenario “eccessivamente ottimistico”, considerando i ritardi che hanno caratterizzato la costruzione dei pochi prototipi esistenti in Russia e Cina.

C’è poi il nodo cruciale dei finanziamenti. Difficilmente il settore privato si farà carico da solo dei costi, data l’entità degli investimenti necessari e gli elevati rischi. Quindi servirà necessariamente un “coinvolgimento diretto dello Stato, con finanziamenti, sussidi, incentivi o regolamenti, o indiretto attraverso società controllate”. Secondo le stime sui costi realizzate dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), entro il 2040 in Europa i mini-reattori nucleari potrebbero competere economicamente con i grandi impianti fotovoltaici dotati di accumulo energetico “solamente in presenza di costi di finanziamento eccezionalmente contenuti”.

Non mancano le criticità ambientali, a partire dalla gestione delle scorie radioattive – per le quali l’Italia non ha ancora un deposito nazionale – fino all’impatto sulle risorse idriche. In Francia, citata spesso come modello, le centrali nucleari sono responsabili del 12-14% del consumo idrico totale del Paese. Infine, va considerato anche il probabile fenomeno NIMBY (Not In My Back Yard), ovvero una resistenza degli italiani verso l’atomo: già due volte in passato il programma nucleare italiano è stato fermato da referendum popolari e, anche se oggi la maggioranza della popolazione dovesse essere favorevole, “l’effettiva costruzione delle centrali potrebbe essere ostacolata da forme di opposizione locale”.

Tutte obiezioni ragionevoli, che andrebbero affrontate (comunque la si pensi) se si vuole davvero tentare di aprire il cantiere dell’energia dall’atomo in un Paese come il nostro. Gli esperti di Bankitalia concludono che, di fronte a tutte queste incertezze, “è necessario adottare un approccio prudente” nella valutazione del ruolo che il nucleare potrebbe avere per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. L’apertura del dibattito alle tecnologie nucleari può offrire “potenziali vantaggi”, ma solo “a condizione che non ostacoli né rallenti il progresso di altre strategie per la diversificazione del mix energetico, in particolare l’espansione delle fonti rinnovabili”.

È un monito importante, considerando che a livello globale gli investimenti nel nucleare sono oggi dieci volte inferiori rispetto a quelli nelle rinnovabili. E che l’Italia, per centrare i suoi obiettivi climatici, dovrebbe installare oltre 11 GW all’anno di nuova potenza da fonti rinnovabili nei prossimi cinque anni e mezzo. Una sfida già di per sé molto impegnativa, che rischia di essere ulteriormente complicata da un’eccessiva focalizzazione sul nucleare.

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