La transizione verde è una scommessa sul futuro che, come tutte le trasformazioni strutturali, presenta una doppia faccia. Da un lato promette benefici macroeconomici solidi nel medio-lungo periodo, dall’altro impone costi iniziali non trascurabili, con il rischio concreto di minare il consenso sociale necessario a sostenerla. A metterlo nero su bianco è la Banca d’Italia, attraverso l’intervento di Roberto Torrini – capo del Servizio Struttura economica – alla Commissione Attività produttive della Camera. Il cuore del messaggio è chiaro: senza una strategia condivisa e coraggiosa, il nostro sistema produttivo rischia di perdere ulteriore terreno rispetto alle economie più dinamiche. Il riferimento è al “Patto per l’industria pulita”, una tabella di marcia che unisce decarbonizzazione e competitività industriale.
L’Europa guida
L’Unione Europea può già vantare risultati rilevanti, sottolinea Torrini. L’adozione dello European Union Emissions Trading System (EU ETS), che ha creato un mercato del carbonio interno all’Unione, è stato uno degli strumenti chiave per la riduzione delle emissioni. Anche sul fronte delle rinnovabili, l’Europa è andata oltre la dichiarazione d’intenti: oggi il 25% dei consumi energetici proviene da fonti pulite, una quota triplicata in vent’anni. L’Italia ha fatto la sua parte, anche se su scala leggermente più ridotta: dal 2004 a oggi, la quota di rinnovabili è passata dal 6% al 20%.
Non solo numeri sull’energia, ma anche dati economici più ampi mostrano una tenuta positiva. L’industria italiana, tra il 2013 e il 2023, ha aumentato il proprio valore aggiunto del 7%, mentre nello stesso periodo l’intensità energetica – cioè il rapporto tra consumo energetico e produzione – è scesa di quasi il 20%. Segno che una parte del nostro tessuto produttivo ha già intrapreso un percorso virtuoso, combinando efficienza e innovazione.
Il Clean Industry Deal
Il cosiddetto Clean Industry Deal, di cui il Patto per l’industria pulita è declinazione nazionale, non si limita a indicare obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale. Ambisce a qualcosa di più: rilanciare la produttività, accelerare l’innovazione e rendere le imprese europee più competitive anche nei mercati globali. In altre parole, trasformare un vincolo ambientale in un volano economico. Tuttavia, questi benefici strutturali non si vedranno dall’oggi al domani. “Proprio per questo – ammonisce Torrini – è importante procedere da subito con decisione”.
Il vero nodo resta il breve termine: senza meccanismi di compensazione per famiglie e imprese, l’aumento dei costi (ad esempio per l’energia o per l’adeguamento tecnologico) rischia di trasformarsi in ostilità diffusa verso le politiche climatiche. Un effetto boomerang che potrebbe compromettere i traguardi futuri.
Competitività e clima: un equilibrio necessario
La relazione della Banca d’Italia arriva in un momento in cui l’intero impianto delle politiche industriali europee è chiamato a un salto di qualità. Dopo anni in cui l’accento è stato posto sulla sostenibilità ambientale, oggi diventa sempre più urgente integrare in modo esplicito anche la dimensione della competitività. In assenza di investimenti mirati, infrastrutture adeguate e semplificazioni burocratiche, il rischio è quello di un’Europa virtuosa ma isolata, penalizzata nella concorrenza globale con giganti come Stati Uniti e Cina, Paesi in cui gli aiuti di Stato sono meno regolati e l’industria può contare su sussidi massicci.
Per l’Italia, il compito è ancora più delicato. Il nostro Paese soffre di croniche difficoltà nell’attuazione delle politiche industriali e ambientali. Il Patto per l’industria pulita – se non rimane sulla carta – può rappresentare una risposta concreta, a patto che si accompagni con investimenti pubblici e privati, formazione professionale e una visione politica capace di tenere insieme obiettivi ambientali e benessere sociale.
La transizione come opportunità, non come ostacolo
La transizione ecologica non è un lusso per economie già avanzate, ma una condizione necessaria per evitare crisi sistemiche ancora più gravi. L’analisi della Banca d’Italia suggerisce che l’alternativa non è tra “ambiente” e “sviluppo”, bensì tra “azione” e “arretratezza”. In questo contesto, il Patto per l’industria pulita potrebbe diventare il banco di prova per capire se l’Italia è davvero pronta a scommettere sul futuro. Non per moda o ideologia, ma per convenienza economica. Perché la decarbonizzazione, oggi, è anche una questione di sopravvivenza industriale.