5 Giugno 2025
/ 3.06.2025

Clima, arriva lo sfratto per un’intera isola

Gli abitanti di Gardi Sugdub, nell’arcipelago panamense di Guna Yala, hanno dovuto abbandonare le loro case per la risalita del mare. Il governo ha costruito un nuovo villaggio sulla terraferma

La crisi climatica dà lo sfratto a tutta un’isola. Da un anno, l’isola di Gardi Sugdub, nell’arcipelago panamense di Guna Yala, è avvolta dal silenzio. Le voci dei bambini, i canti degli anziani, i colori delle feste tradizionali sono spariti insieme alla maggior parte dei suoi abitanti. Nel giugno 2024, circa 1.200 membri della comunità indigena Guna hanno lasciato le loro case, le barche, il mare che aveva nutrito generazioni. Si sono trasferiti sulla terraferma, nel nuovo villaggio di Isber Yala, costruito dal governo panamense per dare rifugio a una popolazione destinata, nel giro di pochi decenni, a vedere le proprie case inghiottite dal mare.

Il mare che sale, le isole che scompaiono

Gardi Sugdub non è sola. Fa parte di un arcipelago di 365 isole, di cui solo 49 abitate. Ma secondo le previsioni scientifiche, entro fine secolo potrebbero tutte scomparire. Il motivo? L’innalzamento del livello del mare, dovuto alla crisi climatica. La maggior parte delle isole si trova a meno di 50 centimetri sopra il livello del mare. Steven Paton, climatologo dello Smithsonian Tropical Research Institute, è netto: “Con un riscaldamento globale di 2,7 °C entro il 2100, il mare salirà di circa 80 centimetri. Le isole semplicemente non reggeranno”.

Non tutti, però, se ne sono andati. Alcuni, come Luciana Pérez, 62 anni, hanno deciso di restare. Seduta nella sua capanna, tra collane di perline e fumi di erbe medicinali, dice con calma: “Sono nata qui e qui morirò. Solo Dio sa cosa accadrà”.

Una città nuova, tra cemento e nostalgia

A Isber Yala, il nuovo villaggio costruito dal governo, la vita è diversa. Case in cemento da 49 metri quadrati, servizi igienici, un piccolo giardino, elettricità continua e acqua disponibile ogni mattina per qualche ora. Questa settimana si celebrerà il primo anniversario del trasferimento: si prepara la chicha, una bevanda fermentata di mais, e si aspettano danze e canti.

Tornando a Gardi Sugdub, si ha l’impressione di trovarsi in un luogo dimenticato. Le case sono sbarrate, la scuola è invasa dalla polvere, i pochi negozi aperti vendono frutta, vestiti e poco altro. “È tutto vuoto, sembra un’isola morta”, dice Delfino Davies, che gestisce un piccolo museo con oggetti della tradizione. Anche il centro sanitario è rimasto lì, praticamente deserto. “Le visite sono poche”, spiega il medico John Smith. I pazienti devono farsi il viaggio inverso, dalla terraferma verso l’isola.

Alcuni vanno e vengono, per controllare le case, o per un legame difficile da spezzare. “Mi manca il mare”, ammette Magdalena, “anche se so che un giorno tornerà a prendersi quello che è suo”.

Il primo esodo climatico, ma non l’ultimo

Il caso di Gardi Sugdub è emblematico. È una delle prime migrazioni pianificate in America Latina causate dal cambiamento climatico. Ma secondo il ministero dell’Ambiente panamense, ci sono almeno altre 60 comunità costiere in pericolo entro il 2050. Si tratta di un’anticipazione, dolorosa e concreta, di ciò che attende milioni di persone nel mondo nei prossimi decenni.

Ana Toni, direttrice generale della prossima COP30, è stata chiara: “Spostare una comunità da un’isola alla terraferma non è più uno scenario futuro. È la realtà con cui dobbiamo già fare i conti”. Il mare sale. La terra si ritira. E le persone, come i Guna, cercano di resistere, di ricostruire, di non perdere sé stesse.

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