10 Novembre 2025
/ 10.11.2025

Cop30, l’IA irrompe sulla scena climatica

Alla Conferenza Onu sul clima tra i punti in discussione c’è il costo energetico dell’intelligenza artificiale. In Italia, secondo una ricerca di iSustainability, c’è ancora poca consapevolezza: il 54% delle aziende è poco o per nulla consapevole dell’impatto ambientale di cloud, intelligenza artificiale e infrastrutture IT

La Cop30 si apre nel cuore dell’Amazzonia, ma una parte crescente del dibattito si sposta altrove: nel cloud. Per la prima volta nella storia delle conferenze Onu sul clima, la sostenibilità digitale entra ufficialmente nell’agenda dei negoziati. E lo fa con un titolo che è già un programma: Green Digital Action, il percorso promosso dall’International Telecommunication Union per valutare l’impatto ambientale delle infrastrutture tecnologiche globali: dai data center all’intelligenza artificiale.

Il tema non è accademico: secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia entro il 2030 i data center del mondo consumeranno circa 945 terawattora di elettricità, una quantità paragonabile all’intera domanda del Giappone. E l’IA, con la sua fame di calcolo, potrebbe arrivare ad assorbire fino al 50% di quella energia. In termini climatici, significa che il settore Ict, già oggi responsabile fino al 4% delle emissioni globali, rischia di raddoppiare il proprio peso entro fine decennio.

Riccardo Giovannini: “Il digitale impone obblighi che molte aziende non conoscono”

In Italia, l’espansione del digitale corre veloce ma spesso alla cieca. Nel 2024 la capacità complessiva dei data center ha avuto una crescita del 17% sull’anno precedente. Milano si prepara a diventare un hub strategico per l’Europa meridionale, con oltre 37 miliardi di euro di investimenti annunciati. Ma dietro l’euforia dei numeri si nasconde un paradosso: più della metà delle imprese italiane non ha idea di quanto inquina il digitale che utilizza.

Lo rivela una ricerca di iSustainability, società di consulenza del Gruppo Digital360 fondata da Riccardo Giovannini, secondo cui il 54% delle aziende è poco o per nulla consapevole dell’impatto ambientale di cloud, intelligenza artificiale e infrastrutture IT. “La consapevolezza legata al digitale è un tema da rafforzare urgentemente”, spiega Giovannini. “Le aziende utilizzano ogni giorno servizi cloud, mail, software ospitati in data center, ma non ne percepiscono l’impatto complessivo. È un rischio anche normativo, alla luce delle nuove direttive europee sull’efficienza energetica”.

La Direttiva EU 2023/1791 – ricorda Giovannini – impone infatti agli Stati membri di monitorare e ridurre i consumi dei data center, mentre il Regolamento EU 2024/1364 introduce obblighi di trasparenza e classificazione energetica. Ma il problema, continua Giovannini, è soprattutto culturale: “Senza strumenti di misurazione e governance, molte imprese rischiano di perdere competitività. La sostenibilità digitale non è un lusso reputazionale: è una condizione di sopravvivenza economica”.

L’altra Amazzonia: quella dei bit

Alla Cop30, dove il presidente del Brasile punta a lanciare il Tropical Forests Forever Facility (Tfff) per finanziare la protezione permanente delle foreste tropicali, il parallelismo è evidente: anche l’infrastruttura digitale globale è una foresta, ma di server, e cresce senza regole. Oggi ogni ricerca online, ogni richiesta a un modello di intelligenza artificiale, ogni transazione nel cloud consuma energia e produce emissioni.

Il rischio è che la transizione digitale, se non governata, diventi un nuovo fronte di crisi climatica. Secondo le proiezioni del Centro Studi Rina, tra il 2025 e il 2030 l’espansione dei data center potrebbe trascinare le emissioni globali del settore Ict fino all’8% del totale mondiale.

Ma la tecnologia, se usata con intelligenza, può anche diventare parte della soluzione. Gli stessi strumenti che oggi alimentano l’impatto del digitale – IA, machine learning, osservazione satellitare – sono quelli che rendono possibile misurare con precisione l’assorbimento di carbonio delle foreste e monitorare le emissioni industriali in tempo reale. È il senso dell’appello che arriva dal Cmcc e da scienziati come Riccardo Valentini: usare la potenza del digitale per servire la biosfera, non per gravarla di un nuovo debito ecologico.

La nuova frontiera della responsabilità

La sostenibilità digitale entra così di diritto nella geopolitica del clima. Mentre l’Amazzonia resta il simbolo della tutela ambientale, il cloud diventa la nuova frontiera della responsabilità. Entrambi – foresta e rete – sono ecosistemi vitali che possono collassare se non gestiti con intelligenza.

La sfida di Belém, dunque, non è solo fermare la deforestazione o finanziare la transizione nei Paesi poveri, ma capire come rendere sostenibile anche l’infrastruttura tecnologica che sostiene l’economia globale. Perché nel XXI secolo il clima non si gioca più solo tra alberi e fiumi, ma anche tra chip e algoritmi.

Come sintetizza Riccardo Giovannini, “le imprese che investono oggi in efficienza digitale riducono emissioni e costi operativi, ma soprattutto si preparano a un mondo in cui la sostenibilità sarà il linguaggio universale dei mercati”.

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