La tragedia accaduta il 2 luglio in Romania, sulla Trasfaragan, la strada di montagna che attraversa i Carpazi, è ancora nei nostri occhi. Il turista italiano che, per fare una fotografia, si avvicina troppo a un’orsa con i piccoli e viene ucciso dalla reazione dell’animale, con il corollario dell’orsa a sua volta uccisa a fucilate dai guardiaparco, è la certificazione di una doppia sconfitta.
Innanzitutto nella gestione di una risorsa importante e a rischio estinzione, l’orso, nel Paese europeo che dopo la Russia ne ha la più grande popolazione. E poi nell’educazione della popolazione e in particolare dei turisti, che visitano i Carpazi anche per vedere questo plantigrado e poi spesso e volentieri attuano comportamenti dissennati, come nutrirlo (non di rado da brevissima distanza) senza avere consapevolezza di trovarsi di fronte a un predatore capace di reazioni rapide e potenti. Con il risultato che, secondo i dati del ministero dell’Ambiente rumeno, negli ultimi vent’anni 26 persone sono state uccise da orsi e 274 sono state ferite. Tra loro pastori ed escursionisti, ma anche molti “turisti curiosi” che trattavano animali selvatici potenzialmente pericolosi come orsacchiotti o inoffensive creazioni di Disney.
La decisione del Parlamento rumeno
Lo scorso anno, dopo l’ennesima uccisione, il Parlamento rumeno aveva deliberato di triplicare il numero di orsi da uccidere annualmente sia per il 2024 che per il 2025, con l’obiettivo di ridurre la pressione e le interazioni con gli uomini. In precedenza ogni anno le autorità e i cacciatori rumeni uccidevano un massimo di 140 orsi: per il 2024 e il 2025 è stata invece fissata una quota di 426 orsi, a cui poter aggiungere altri 55 “in situazioni emergenziali”, come i casi di aggressioni a persone. Una decisione destinata a non risolvere il problema, se non in termini retorici e mediatici perché non stabilisce nuove pratiche di gestione degli orsi e delle loro interazioni con gli umani.
In Romania gli orsi sono tanti. Sinora le stime parlavano di 6 mila esemplari, ma uno studio realizzato dal 2021 al 2023 e basato sull’analisi del Dna degli animali (raccolto da peli di orso ed escrementi) ha prodotto una stima che va da 10.419 a 12.770 animali. Grossomodo il doppio dell’atteso.
Il Wwf Romania, per voce del biologo Christian Remus Papp, ha valutato con perplessità questa stima (“ci sono molte incognite e incongruenze in questo censimento, molti animali sono stati contati due volte e poi la popolazione non può crescere ad un ritmo quattro volte superiore al resto dell’Europa. La stima più probabile è quella fatta nel 2023 da un’associazione di cacciatori, attorno ai 7.800 esemplari”). Che restano pur sempre tanti. Il fatto è che gli abbattimenti non risolvono il problema, a meno di fare una strage: il punto è che questa popolazione va gestita meglio.
La gestione dei rifiuti alimentari
“Ci sono diverse questioni fondamentali che dobbiamo affrontare per risolvere i conflitti uomo-orso in modo sostenibile, indipendentemente dalle leggi che approviamo o dal numero di orsi che abbattiamo”, afferma Cristian Remus Papp, coordinatore delle pratiche per la fauna selvatica del Wwf Romania. “Tra questi la gestione degli attrattori: quindi corretta gestione dei rifiuti e regolamentazione dei siti di alimentazione supplementare. Gli attrattori possono alterare drasticamente il comportamento degli orsi, aumentando le densità di popolazione, modificando il loro areale e le relazioni con le prede e influenzando i modelli di ibernazione. Questi attrattori possono essere rilevati dagli orsi fino a 5 chilometri di distanza. Abbiamo testato e implementato con successo delle soluzioni qui in Romania, ma richiedono un’adozione più ampia e il sostegno delle autorità e delle parti interessate”.
Il Wwf Romania chiede anche che vengano ripristinati i corridoi ecologici che consentano agli orsi di spostarsi in altre zone naturali del Paese. E nella cittadina turistica montana di Baile Tusnad, il Wwf e altre ong hanno anche sperimentato soluzioni alternative all’uccisione degli orsi: creazione di cestini per la spazzatura inaccessibili ai plantigradi; installazione di 400 recinzioni elettriche attorno a case e cassonetti della spazzatura; un’applicazione mobile che fornisce consigli e un alert, poi diventato comune anche in altre aree dei Carpazi, che scatta su tutti i cellulari ogni volta che viene segnalato un orso vicino al centro abitato.
I corridoi ecologici
Queste misure sembrano riuscire ad arginare le incursioni degli orsi. Bastano? Ragionevolmente no. Si possono valutare lo spostamento di alcune popolazioni, anche senza trasferimenti forzati ma attraverso l’apertura di “corridoi ecologici”, come chiede il Wwf. Ma serve porre un argine anche sul lato del comportamento degli umani. Visto il numero di interazioni sulla strada di montagna lungo la quale è avvenuto l’ultimo incidente mortale sarebbe utile fare un salto di qualità nel controllo – e quindi nell’educazione – dei turisti, passando dagli onnipresenti cartelli di divieto di nutrire gli orsi (che quasi nessuno rispetta) a un controllo da remoto oggi possibile a basso costo utilizzano i droni, che potrebbero facilmente pattugliare i 30/40 chilometri di strada più a rischio (sui 90 totali), fotografare chi viola i divieti e poi recapitare ai proprietari delle auto e delle moto coinvolte ricche multe da qualche centinaio di euro.
Per ridurre il rischio orsi nei Carpazi, prevenire è la strategia migliore, e diminuire drasticamente le interazioni tra umani e plantigradi è una scelta inevitabile. I droni possono servire come repressione ma anche come prevenzione: perché il turista che sente il loro ronzio, temendo la supermulta, eviterà di fare stupidaggini.