12 March 2025
/ 11.03.2025

“Costi alti e tempi lunghi, il nucleare non serve alla sfida climatica”

Il nucleare? Non serve, ed è più costoso. Inoltre, visti i sistematici ritardi nella costruzione delle centrali atomiche, rischia di rinviare la neutralità climatica a ben oltre il 2050. A chiarirlo per l’ennesima volta è un rapporto presentato a Roma – in occasione dell’anniversario dell’incidente di Fukushima – dal coordinamento “100% rinnovabili network”, del quale fanno parte le principali associazioni ambientaliste italiane tra le quali Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Greenpeace, Wwf, Legambiente, Kyoto club.

Il rapporto piccona le certezze dei nuclearisti. “Il ministero dell’Ambiente, attraverso il Pniec – osserva il rapporto – ipotizza lo sviluppo di almeno 400 MW di nuova capacità di nucleare avanzato, ovvero piccoli impianti modulari: SMR, AMR e microreattori al 2035, per arrivare a 2 GW di potenza al 2040, 3,5 al 2045 e 7,6 GW al 2050 a cui andrebbero aggiunti ulteriori 400 MW di potenza da fusione. Il tutto contribuendo all’11% dei consumi finali del Paese”.

Secondo il Pniec, questo scenario “consentirebbe un risparmio di 17 miliardi di euro rispetto a quello senza nucleare” ma – continua il rapporto, “il Piano inviato a Bruxelles non fornisce né studi né elementi di valutazione a sostegno di questa affermazione”. Il nucleare è quindi una sorta di “professione di fede”.  Come ha osservato il direttore esecutivo di Greenpeace, Giuseppe Onufrio, “il Pniec è il piano energetico di Harry Potter”.

Un piano con convinzioni e aspettative – obiettano le associazioni ambientaliste – che la realtà nega, a partire dai tempi di realizzazione. La realizzazione delle centrali nucleari EPR, progettate con l’obiettivo di fornire una migliore competitività economica rispetto ai precedenti ed ampiamente collaudati PWR, in Europa è stata caratterizzata da notevoli sforamenti dei tempi di realizzazione e quindi dei costi previsti. Il PtO, cioè il tempo che trascorre dalla pianificazione alla realizzazione, è compreso nell’intervallo 17-25 anni, con media di 21 anni.

Che le rinnovabili siano meno costose lo certificano le grandi organizzazioni internazionali. “Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia1 (AIE) – si osserva nel rapporto – i costi di generazione dell’energia elettrica, nel 2023, 2030 e 2050, nell’Unione Europea sono, per le fonti rinnovabili sempre più bassi di quelli del nucleare. L’Aie prevede una differenza di ben 120 $/MWh tra nucleare e solare fotovoltaico per il 2023, di 100 $/MWh per il 2030 e il 2050. Una differenza importante che si nota anche per l’eolico onshore, pari a 110 $/MWh per il 2023, di 80 $/MWh per il 2030 e 75 $/MWh per il 2050. E per l’eolico offshore, pari a 100 $/MWh per il 2023, 90 $/MWh per il 2030 e il 2050. Numeri significativi che valgono, con lievi differenze, anche per il nucleare realizzato negli Stati Uniti, in Cina o in India rispetto alle fonti rinnovabili lì disponibili”.

Il costo di generazione dell’elettricità prodotta dalle centrali nucleari è dunque molto maggiore, parliamo di 3,4 volte quello del solare e 2,8 volte quello dell’eolico, anche se minore di quello delle centrali a carbone e di quello delle centrali a gas. “Per il nucleare – si osserva poi – vi sono dei costi di sistema sottostimati o ignorati nel calcolo col metodo LCOE, in particolare i costi di decommissioning e di bonifica dei siti delle centrali nucleari e una parte significativa dei costi di gestione dei rifiuti radioattivi, di alta e media attività, generati dal funzionamento e dallo smantellamento delle centrali”.

In Italia, lo smantellamento del passato nucleare, deposito nazionale e gestione scorie, che dovrebbe essere realizzato entro il 2052, costerà 11,4 miliardi di euro. Anche stimando cautelativamente di addebitare solo una parte di questa cifra alla passata produzione elettro-nucleare, per esempio 6 miliardi di euro, ciò corrisponderebbe a 65 €/MWh rispetto alla produzione effettuata, che è stata pari a 92 TWh. Questo mette il nucleare economicamente fuori mercato.

Per ovviare a questa obiezione e per cercare di rispondere alle obiezioni relative alla sicurezza, l’industria nucleare punta tutto sui cosiddetti SMR, i piccoli reattori modulari. “Gli SMR – si osserva – sono, in realtà, più costosi: a questa conclusione arriva la rassegna internazionale sui progetti in corso per gli Small Modular Reactor (SMR), pubblicata da The World Nuclear Industry – Status Report 2024 . Gli SMR perdono in termini di economie di scala e quindi l’energia generata sarà più costosa. Le poche stime dei costi esistenti, necessariamente speculative, mostrano tutte che gli SMR saranno più costosi per unità di capacità installata rispetto ai grandi reattori. E c’è anche una variabile geopolitica.

“La società russa Rosatom, che detiene il 38% della capacità globale di conversione dell’uranio e il 46% della capacità di arricchimento – osserva il rapporto – è l’unico fornitore economicamente sostenibile di uranio ad alto dosaggio e a basso arricchimento. Anche gli Stati Uniti hanno fatto affidamento su Rosatom e sulle catene di approvvigionamento controllate dalla Russia per quasi la metà dalla loro fornitura di uranio. Soltanto lo scorso maggio il presidente Biden ha firmato il Prohibiting russian uranium imports act e sono stati stanziati 2,72 miliardi di dollari per finanziare una nuova capacità di arricchimento negli Usa. In Europa il 40% delle importazioni di uranio arricchito dell’UE continua invece a provenire dalla Russia; se i servizi di Rosatom venissero interrotti, molti impianti nucleari europei potrebbero diventare stranded assets e causare gravi perdite finanziarie, oltre a interrompere la fornitura di energia elettrica”. Visto quanto successo con il gas, replicare legandosi a un fornitore così politicamente inaffidabile sarebbe un errore grave.

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