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Sostenibilità

Cucina Italiana patrimonio dell’umanità, saremo l’unico Paese al mondo che vieta il Cibo Sintetico?

03.11.2023

Presentazione logo ufficiale candidatura Cucina italiana UNESCO, il 5 agosto 2023 a Pompei. (foto Masaf)

La difesa della Cucina Italiana non è solo una questione etica. Mancano pochi giorni per decidere il divieto al “cibo sintetico” in Italia. L’interrogativo è sulla sostenibilità della sua produzione, che potrebbe essere molto più inquinante degli allevamenti.

Il 6 novembre la Camera discuterà (e forse voterà) il disegno di legge del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida sulle “Disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati nonché di divieto della denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali”, già approvato a luglio dal Senato. Qualora l’esito della votazione fosse positivo, l’Italia sarebbe l’unico Paese al mondo a vietare il cosiddetto “cibo sintetico”.

Secondo i produttori, i lati positivi sono l’abbattimento dell’inquinamento ambientale derivato dalle emissioni degli allevamenti animali e il rendere la carne potenzialmente disponibile per un maggior numero di persone; il punto interrogativo è sulla sostenibilità della produzione del cibo sintetico, che potrebbe essere molto più inquinante degli allevamenti.

La difesa del cibo italiano non è solo una questione etica: un ultimo recente dato di Deloitte dice che, con una crescita dell’11% sull’anno precedente, la cucina italiana nel mondo raggiunge un valore complessivo di 228 miliardi. La filiera ne vale 580, un quarto del Pil del Paese.

Un vero e proprio patrimonio, anche in senso letterale, la cui valorizzazione è culminata con la candidatura della Cucina italiana a Patrimonio immateriale dell’Unesco, formalizzata nel marzo scorso e celebrata con una cena stellata al Gotham Hall di Broadway, nell’ambito del Summer Fancy Food 2023 a New York.

Le ricette della tradizione (pasta e patate, un secondo di carne e Tiramisù) sono state preparate con le eccellenze della produzione italiana, molte delle quali provenienti dalla “food valley”.

Con questo termine, si intende il territorio dell’Emilia-Romagna compreso tra le province di Parma, Reggio Emilia e Modena, dove vengono prodotte alcune più note eccellenze gastronomiche italiane, come il Grana padano, il Prosciutto di Parma, l’Aceto balsamico di Modena, solo per citare i più noti. Ma anche pasta all’uovo (tagliatelle, tortellini) e vini (Sangiovese, Lambrusco etc). Nomi noti in tutto il mondo, divenuti sinonimo di Italia (quasi) quanto la pizza.

A contribuire alla diffusione di questi gioielli della cucina italiana ha avuto un ruolo importante Eataly, con i suoi negozi diffusi dagli Stati Uniti al Giappone, passando per Qatar ed Emirati. La catena dei “templi” del gusto italiano è stata fondata nel 2004 da Oscar Farinetti; attualmente il 52% è detenuto da InvestIndustrial di Andrea Bonomi, il restante da Eatinvest (famiglia Farinetti), la famiglia Baffigo/Miroglio e Clubitaly (Tamburi Investment Partners).

La spesa di altissima qualità purtroppo è riservata a pochi, ancor più in tempi di inflazione galoppante: l’Istat, nel primo semestre di quest’anno, ha rilevato un incremento degli acquisti di cibo low cost, con i discount alimentari che hanno fatto segnare un balzo del +9,5%.

Anche l’Europa è in campo per la difesa dell’alimentazione: entro l’anno dovrebbe essere approvato il nuovo regolamento per il packaging. Ad oggi, in Europa, è possibile confezionare gli alimenti con pellicole che contengono anche PFAS, una sostanza potenzialmente cancerogena: la Commissione ambiente ne ha proposto il divieto, affinché i cibi siano avvolti in materiale non dannoso alla salute.

 

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