15 Maggio 2025
/ 15.05.2025

Ecco come uscire dalla trappola delle materie prime

Il nuovo Rapporto del Circular Economy Network mostra che l’economia circolare non è solo ecologia: è strategia industriale, scudo geopolitico e motore del made in Italy

La globalizzazione ha smesso di essere un’autostrada in discesa. Dopo la pandemia, tra guerre, tensioni commerciali e ritorsioni doganali, il mondo si è scoperto fragile. E con esso, la nostra economia. Oggi le materie prime viaggiano meno, costano di più e arrivano con il fiato corto. Per un Paese manifatturiero come l’Italia, dipendente per quasi la metà delle sue risorse dall’estero, la questione è vitale. Non solo ambientale, ma strategica.

Il Rapporto 2025 sull’economia circolare del Circular Economy Network, presentato durante la Conferenza nazionale alla Biblioteca nazionale centrale di Roma, segna un cambio di paradigma. L’economia circolare non è più il fiore all’occhiello della sostenibilità. È il telaio portante di un’economia che vuole restare in piedi quando tutto il resto vacilla.

Il rischio? Perdere sovranità economica

Nel 2023 il 48% delle materie utilizzate in Italia proveniva dall’estero, contro una media europea del 22%. Un dato doppiamente critico: perché indica un’eccessiva dipendenza e perché è aumentato il costo di queste forniture, salite da 424 a 568 miliardi di euro in soli cinque anni. 

Inoltre i materiali non arrivano più con la puntualità di un tempo. Le strozzature logistiche, i conflitti geopolitici e la crescente competizione internazionale sui minerali strategici mettono a rischio le filiere produttive. Ecco perché oggi più che mai serve un cambio di rotta. Un sistema che punti sulle risorse già presenti, sulle seconde vite dei materiali, sulla capacità tutta italiana di trasformare il poco in molto.

Italia avanti, ma non abbastanza

Sotto molti aspetti, il nostro Paese si muove bene: è secondo in Europa per livello di circolarità, dietro solo ai Paesi Bassi, e vanta una produttività delle risorse di 4,3 euro per ogni kg consumato, ben al di sopra della media europea. Eppure, il passo rischia di rallentare. Gli investimenti in attività circolari sono scesi del 22% rispetto al 2019, e anche il numero di occupati è in flessione.

Segnali che non vanno ignorati, anche perché il resto d’Europa sta accelerando. Bruxelles ha appena lanciato il Clean Industrial Deal con l’obiettivo di raddoppiare il tasso di circolarità entro il 2030. Il Circular Economy Act sarà il prossimo passo, e chi arriverà tardi rischia di uscire dal gioco.

Riciclare conviene (anche ai conti)

Il potenziale dell’economia circolare non si misura solo in tonnellate, ma in miliardi. Se l’Italia riuscisse ad aumentare del solo 1,5% all’anno il tasso di riciclo, guadagnerebbe quasi 17 miliardi l’anno sulla bilancia commerciale. Le imprese lo hanno già capito: nel solo 2024 hanno tagliato i costi di 16,4 miliardi grazie a pratiche circolari. Ma è solo il 15% del potenziale. Il resto è ancora da cogliere.

Il nostro Paese ha qualcosa che altri non hanno: una tradizione artigiana forte, una manifattura flessibile, una cultura della riparazione e del riuso che affonda nelle radici del made in Italy. Scommettere sull’economia circolare significa anche valorizzare queste competenze, creando filiere locali, occupazione qualificata e nuovi mestieri green.

La circolarità può diventare il pilastro di una nuova stagione industriale. Non un ritorno nostalgico al passato, ma un rilancio del saper fare italiano, questa volta più autonomo, più pulito, più intelligente.

Non è più tempo di tentennare

Occorre dunque aumentare l’attenzione. “La situazione italiana va bene ma non benissimo”, ha sintetizzato Edo Ronchi, presidente del Circular Economy Network. “In un contesto economico e politico incerto, con l’aggravarsi di conflitti internazionali, in cui anche le materie prime giocano un ruolo fondamentale, l’Italia deve decidere se rafforzare la sua leadership nella circolarità o perdere questo vantaggio”. Perché in un mondo che cambia in fretta restare fermi significa retrocedere. E in questa partita la velocità conta. L’Italia può giocare da protagonista, ma deve smettere di aspettare. Oggi, l’economia circolare non è più un lusso per chi può permetterselo: è il piano B diventato piano A.

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