Economia circolare, a che punto siamo? Anche quest’anno, il 30 marzo, il mondo ha celebrato l’International Day of Zero Waste, un’iniziativa promossa dall’ONU per sensibilizzare governi, aziende e cittadini sull’urgenza di ridurre la produzione di rifiuti e promuovere modelli sostenibili di produzione e consumo.*L’edizione 2025 si è focalizzata sul tema “Verso Rifiuti Zero nella moda e nel settore tessile”, mettendo in evidenza l’impatto ambientale e sociale del settore e promuovendo soluzioni sostenibili.
In Italia sono molto attivi Zero waste Italy e la Rete nazionale rifiuti zero e le 337 amministrazioni comunali, per un totale di 7.284.392 cittadini che hanno adottato la Delibera Rifiuti Zero sul modello inaugurato dal Comune di Capannori nel 2007. Ne abbiamo parlato con Stefano Leoni, giurista, coordinatore scientifico del Circular Economy Network (Cen) e già presidente del Wwf Italia.
“Primo aspetto un po’ polemico: doveva essere aggiornato il piano di prevenzione che fu fatto undici anni fa dal ministro dell’Ambiente, ma ancora non ci siamo. Certo, nel frattempo è stata emanata la strategia per l’economia circolare che include la prevenzione dei rifiuti e l’uso efficiente delle risorse, ma resta il fatto che sul piano normativo si potrebbe fare di più per ridurre la quantità di rifiuti prodotti e migliorare la loro riciclabilità”.
Il rapporto Ispra
Nel nostro Paese la quantità di chili di rifiuti prodotti per abitante è ancora elevata. Secondo il rapporto 2024 dell’Ispra, la produzione nazionale dei rifiuti urbani (RU) si attesta, nel 2023, a quasi 29,3 milioni di tonnellate, in aumento dello 0,7% (+218 mila tonnellate) rispetto al 2022. Ogni cittadino italiano ha prodotto 496 chili pro capite, quindi leggermente meno della media europea (di 513 chili pro capite nel 2022). Il valore medio del nord Italia si attesta a 515 chilogrammi per abitante, in aumento di 9 chilogrammi per abitante rispetto al 2022, mentre il dato del Sud è pari a 449 chilogrammi per abitante.
Ma ci sono forti differenze regionali, con l’Emilia Romagna in testa alla poco invidiabile classifica con 639 kg. Seguono la Valle d’Aosta con 620 chilogrammi, in crescita di 4 chilogrammi rispetto al 2022, e la Toscana con 586 chilogrammi. Le regioni al di sopra della media nazionale sono ben dieci. Alle 3 sopra citate si aggiungono Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Marche, Piemonte, Lazio e Veneto.
“La percentuale di raccolta differenziata nel 2023 – spiega il rapporto Ispra – si attesta al 66,6% della produzione nazionale, con una crescita di 1,4 punti rispetto al 2022 (Figura 2.4). In termini quantitativi, la raccolta differenziata aumenta di 573 mila tonnellate (+3,0%), attestandosi a 19,5 milioni di tonnellate. Nel Nord, la raccolta complessiva è pari a quasi 10,4 milioni di tonnellate, nel Centro a poco meno di 3,9 milioni di tonnellate e nel Sud a circa 5,2 milioni di tonnellate”. Parlando di macroaree, siamo al 73,4% per le regioni settentrionali, al 62,3% per quelle del Centro e al 58,9% per le regioni del Mezzogiorno.
La crescita della raccolta differenziata
Rispetto al 2022, tutte le macroaree geografiche mostrano incrementi della percentuale di raccolta differenziata: nelle regioni del Nord la crescita è di 1,6 punti, in quelle del Sud di 1,4 punti e nelle regioni centrali di 0,9 punti. Su scala regionale, la più alta percentuale di raccolta differenziata è conseguita, analogamente al 2022, dalla regione Veneto, con il 77,7%, seguita da Emilia-Romagna (77,1%), Sardegna (76,3%), Trentino-Alto Adige (75,3%), Lombardia (73,9%) e Friuli-Venezia Giulia (72,5%)”. Abbastanza bene anche Marche (72,1%), Valle d’Aosta (69,4%), Umbria (68,8%), Piemonte (67,9%), e la Toscana (66,6%). Le altre regioni fanno invece peggio, con la Campania che raggiunge solo il 56,6%, il Lazio il 55,4%, la Sicilia il 55,2% e la Calabria, ultima, il 54,8%.
“Da notare che se consideriamo anche i rifiuti speciali e non solo quelli urbani – osserva Leoni – il nostro Paese supera persino la Germania. Qui il modello italiano sta funzionando molto bene. Il fattore decisivo per quanto riguarda gli speciali è stato non tanto e non solo la nascita dei consorzi ma il fatto che l’Italia è sempre stato un Paese povero di materie prime, e quindi era necessario, per essere competitivi, importare il meno possibile materie prime dall’estero. Il driver è stato quindi economico”.
Meno produco rifiuti meno pago
“Per avere un aumento della raccolta differenziata – prosegue Leoni – metterei l’accento su due fattori, il primo è l’aumento della raccolta porta a porta, che funziona particolarmente nei piccoli Comuni e meno bene nelle grandi città dove sono più gestibili i cassonetti intelligenti o quelli da condominio, e poi la creazione di una tariffa puntuale che consenta di creare per il cittadino un incentivo economico al riciclaggio. Questo si può fare a livello di singolo, con tariffa a sacchetto prodotto. Meno produco rifiuti, meno pago. Certo, il cittadino incivile può sempre lasciare i rifiuti per strada o in un altro Comune, ma anche qui, l’incentivo aumenta il controllo sociale e il rischio di essere scoperti, soprattutto nei piccoli centri”.
Per ridurre la produzione di rifiuti urbani sono anche utili la classica, vecchia cauzione sul vetro, e i sistemi automatici per la raccolta e la compattazione di lattine o di bottiglie in plastica Pet, in cambio di un piccolo corrispettivo economico.
“Da diversi anni – sottolinea Leoni – sono stati introdotti dei sistemi di responsabilità estesa del produttore, quello sugli imballaggi è il più performante ed è anche quello che entra di più nella governance del sistema dei rifiuti. Sugli imballaggi i produttori devono coprire almeno l’80% dei costi che sostengono le amministrazioni per la gestione dei rifiuti da imballaggio. E’ un ottimo esempio che potrebbe essere replicato anche per altri tipi di rifiuto. Una buona raccolta differenziata è anche molto importante per l’economia circolare, che vede il nostro Paese leader in Europa. Complessivamente, considerando anche il settore dei servizi, siamo attorno ad oltre 500 mila addetti”.
Serve una strategia flessibile
Per fare di più servono però politiche mirate. “La strategia – conclude Leoni – deve essere complessa, flessibile, perché dipende dal tipo di territorio dove devi operare: se è una zona industrializzata o no, se è agricola o artigianale, se ci sono metropoli, grossi centri urbani o piccoli paesi. E servono provvedimenti legislativi mirati. L’Europa si è mossa molto in questo settore nell’ultima legislatura: fino alla precedente i provvedimenti erano delle direttive, cioè norme quadro che devono essere recepite dai Paesi membri lasciando un margine di manovra. Nell’ultima legislatura, la maggior parte dei provvedimenti sono stati fatti con regolamenti, che vengono recepiti così come sono, hanno immeditata applicazione: questo oggi c’è sull’ecoprogettazione, sulle materie prime critiche, sul riciclaggio delle batterie. E si sta discutendo anche sui veicoli fuori uso e sul settore tessile. A mio avviso l’Italia dovrebbe muoversi in sincrono, ad esempio per il settore tessile e in quello alimentare. Anche perché quando entreranno in vigore le norme europee sarebbe importante che il sistema avesse già in essere e collaudate delle norme simili”.