Il nuovo rapporto “World Energy Employment 2025” dell’Agenzia internazionale dell’energia lo spiega con chiarezza: il settore dell’energia sta creando lavoro come pochi altri comparti al mondo. Nel 2024 gli occupati hanno raggiunto quota 76 milioni, cinque milioni in più rispetto al 2019. È un’espansione trainata soprattutto dalla crescita delle rinnovabili, delle reti elettriche, dei sistemi di accumulo e di tutta la filiera dell’elettrificazione, dai veicoli elettrici alle batterie.
Ma — come sempre accade nelle transizioni — c’è il rovescio della medaglia: la carenza di competenze sta diventando un freno strutturale. Molte imprese segnalano che trovare lavoratori qualificati è sempre più difficile; la maggioranza dichiara di aver dovuto allargare i criteri di assunzione, rivedere i requisiti tecnici, reinventare i processi di reclutamento. I profili più richiesti non sono figure iper-specialistiche da laboratorio: sono tecnici, installatori, manutentori, elettricisti, operatori di impianto. Sono i mestieri della transizione, quelli che trasformano gli obiettivi climatici in infrastrutture reali. E rappresentano oltre metà degli occupati del settore.
Serve un aumento del 40% dei nuovi ingressi
Il paradosso è evidente: mai come oggi l’energia offre posti di lavoro, ma mai come oggi mancano le persone per occuparli. L’Iea avverte che per mantenere il ritmo della transizione servirebbe un aumento del 40% dei nuovi ingressi qualificati entro il 2030. Senza una spinta forte alla formazione e senza politiche pubbliche mirate, il rischio è di rallentare progetti chiave, aumentare i costi e perdere un’occasione di sviluppo sostenibile che non si ripresenterà facilmente. Non stiamo parlando di investimenti titanici: l’agenzia stima che basterebbero circa 2,6 miliardi di dollari l’anno in formazione aggiuntiva a livello globale, una cifra minima se confrontata con il volume complessivo della spesa educativa nel mondo e con gli enormi benefici economici e climatici che ne deriverebbero.
Il rapporto guarda anche oltre l’orizzonte immediato. Con gli attuali orientamenti politici, entro il 2035 l’occupazione energetica potrebbe crescere di altri 3,4–4,6 milioni di posti. Se scegliessimo un percorso coerente con gli obiettivi di neutralità climatica, la crescita potenziale sfiorerebbe i 15 milioni di posti aggiuntivi. Sono numeri che non riguardano solo la macroeconomia: significano opportunità industriali, rigenerazione territoriale, filiere nuove o rinnovate, competitività nazionale. Significano migliaia di imprese che cercano personale e non lo trovano.
Una grande occasione
La conclusione dell’Iea è inequivocabile: la transizione energetica può essere una delle più grandi occasioni occupazionali del nostro tempo, ma non è garantita. Richiede programmi di formazione rapidi e mirati, politiche lungimiranti, nuove alleanze fra imprese, scuole tecniche e università, e un forte impegno per accelerare la mobilità professionale dai settori fossili verso quelli puliti. Senza questo sforzo, il boom rischia di trasformarsi in un’occasione mancata. può diventare uno dei pilastri di una crescita sostenibile e inclusiva, capace di coniugare industria, lavoro e clima.
