Un’alleanza tra eolico offshore e biodiversità? Un nuovo studio internazionale lancia la proposta. Pubblicato sulla rivista BioScience, il lavoro — firmato da ricercatori di diversi paesi e coordinato dal Royal Netherlands Institute for Sea Research — dimostra che basterebbe destinare l’1% degli investimenti previsti nell’eolico marino entro il 2050 per finanziare il ripristino su vasta scala degli ecosistemi marini.
Un investimento infinitesimale rispetto al budget complessivo, ma potenzialmente rivoluzionario: potrebbe ridare slancio biologico a milioni di chilometri quadrati di habitat oggi degradati. Praterie sottomarine, barriere coralline, scogliere di ostriche, mangrovie: tutti ecosistemi fondamentali per la biodiversità, per la protezione delle coste, per la salute del mare e, quindi, per l’equilibrio climatico del pianeta.
“Il ripristino degli ecosistemi marini non avvantaggia solo piante e animali, ma anche le persone”, spiega Laura Airoldi, docente di Ecologia dell’Università di Padova e coautrice dello studio. “Mari e coste in buona salute assorbono carbonio, proteggono le rive e sostengono le popolazioni ittiche. Ogni euro investito nel ripristino può generare tra 2 e 12 euro in benefici per la società”.
In un momento in cui gli obiettivi globali per la biodiversità — come quello dell’Onu che punta a ripristinare il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030 — appaiono lontani per mancanza di fondi e volontà politica, l’integrazione tra energia e natura può offrire una via percorribile e concreta. Specie in un settore destinato a esplodere: si stima che la capacità eolica offshore, che nel 2021 era di 56 gigawatt, possa superare i 2.000 gigawatt entro il 2050. Un’occasione per fare della transizione energetica una doppia transizione: dal fossile al rinnovabile, e dal degrado al ripristino ambientale.
Biodiversità come criterio di gara
Il punto chiave è inserire fin da subito obiettivi ambientali vincolanti nei bandi di gara per i progetti eolici marini. “L’eolico offshore ha un’opportunità unica: non solo sostenere la transizione energetica, ma anche diventare la prima industria marina a contribuire in modo netto e positivo al ripristino su larga scala degli ecosistemi”, sottolinea Christiaan van Sluis del programma The Rich North Sea, principale autore dello studio.
Per centrare l’obiettivo, i ricercatori propongono che i governi introducano nei processi autorizzativi e nelle gare pubbliche requisiti ambientali chiari, che includano l’obbligo di destinare una quota fissa degli investimenti alla rigenerazione marina. Questo potrebbe avvenire tramite licenze che impongano azioni di ripristino, o con criteri di assegnazione non basati esclusivamente sul prezzo, ma anche sul valore ecologico del progetto. Un approccio che potrebbe incentivare le aziende più virtuose, premiando chi integra soluzioni per la biodiversità nella progettazione fin dall’inizio.
Italia e Mediterraneo
Per l’Italia, affacciata su uno dei mari più sensibili ai cambiamenti climatici e alla pressione antropica, la proposta è particolarmente rilevante. Il Mediterraneo è un hotspot di biodiversità, ma anche una delle aree marine più in sofferenza. I progetti eolici galleggianti previsti nei prossimi anni potrebbero diventare anche laboratori di rigenerazione se adeguatamente regolamentati. Praterie di Posidonia, coralli mesofotici, scogliere sommerse e zone di nursery per pesci sono habitat vulnerabili che potrebbero trarre grande giovamento da interventi mirati, come la semina di specie autoctone o la creazione di micro-rifugi protetti attorno alle turbine.