La rotta della Global Sumud Flotilla entra nelle ore decisive. Secondo quanto comunicato dallo Stato Maggiore della Difesa italiana, nel pomeriggio la fregata Nave Alpino della Marina Militare, impegnata nel monitoraggio della missione, diffonderà un avviso ufficiale a tutte le imbarcazioni umanitarie: se non ci saranno variazioni di rotta, intorno alle 2:00 della notte tra oggi e domani le navi raggiungeranno il limite delle 150 miglia nautiche dalle coste di Gaza. È la soglia oltre la quale la Marina italiana non si spingerà, per non compromettere le garanzie di sicurezza del personale imbarcato.
Gli attivisti, tuttavia, non hanno alcuna intenzione di fermarsi. “Siamo ora a circa 200 miglia dalle coste di Gaza. Stasera l’Alpino tornerà indietro, ma noi andremo avanti”, afferma Tony La Piccirella, uno dei partecipanti italiani. “Non esiste un limite legale per il blocco navale. Ci fermeremo solo quando avremo raggiunto il nostro obiettivo: rompere l’assedio”.
Le parole della Flotilla sono nette: “Il fallimento dei governi ha costretto i cittadini comuni ad assumersi rischi straordinari per onorare i propri obblighi morali e legali: fornire aiuti umanitari e aprire un corridoio disperatamente necessario. La situazione a Gaza è ormai più che catastrofica”.
Le accuse di Israele e la replica degli attivisti
Mentre le barche avanzano, Israele rilancia le sue accuse: il ministero degli Esteri dichiara di possedere documenti che proverebbero legami diretti tra i leader della Flotilla e Hamas, attraverso la Conferenza Palestinese per i Palestinesi (Pcpa), considerata da Tel Aviv un’articolazione estera dell’organizzazione.
Gli organizzatori ribattono con forza: “Non ci sono prove di finanziamenti o controlli da parte di Hamas. È uno schema già visto con la Mavi Marmara nel 2010. La nostra è una missione civile e umanitaria, sotto gli occhi dell’Europa e del mondo”, spiega Maria Elena Delia, portavoce italiana. E chiede che eventuali documenti vengano consegnati a organismi indipendenti, non usati come “strumento di propaganda”.
L’appello della politica italiana
Il ministro della Difesa Guido Crosetto rilancia invece la prospettiva di un piano internazionale per la pace in Palestina, capace di aprire vie legali e sicure per l’invio degli aiuti: “Molti beni e medicinali sono già arrivati grazie all’impegno della Farnesina e della Difesa, ma sono troppo pochi. Se la tregua si concretizzasse, cadrebbe la necessità di rischiose forzature del blocco navale”. Crosetto invita gli attivisti a considerare soluzioni alternative per la consegna degli aiuti, “per non trasformare la missione in una provocazione pericolosa”.
Le mosse di Ankara e la pressione della società civile
Sul piano internazionale, la Turchia continua a monitorare da vicino il convoglio: il ministero della Difesa di Ankara ha confermato la disponibilità delle proprie navi a intervenire in caso di emergenze. Ieri una fregata turca ha già soccorso l’imbarcazione Johnny M., in avaria.
In Italia, intanto, si moltiplicano le prese di posizione. Giuristi e associazioni come Asgi e Giuristi Democratici ribadiscono che l’iniziativa della Flotilla è conforme al diritto internazionale e denunciano come illegittimo il blocco israeliano. La Cgil ha annunciato che proclamerà uno sciopero generale “tempestivo” in caso di attacchi o sequestri delle imbarcazioni. Anche l’Unione Sindacale di Base (Usb) è pronta a lanciare uno sciopero generale in caso di attacco alla missione
Le prossime 48 ore
Il conto alla rovescia è iniziato: quando la Flotilla varcherà la soglia delle 150 miglia, lo scontro politico, giuridico e diplomatico entrerà nel vivo. La Marina italiana si fermerà, le navi civili proseguiranno da sole. Resta da capire se prevarrà una mediazione internazionale o se si arriverà a un braccio di ferro in mare aperto.
Quel che è certo è che la vicenda della Global Sumud Flotilla non è più soltanto una missione civile: è diventata un banco di prova per il diritto e la diplomazia internazionali.