20.05.2024
Sicurezza alimentare, tutela ambientale, diritti sociali e benessere animale sono gli standard europei imposti solo sui prodotti alimentari all’interno dei confini. Per necessità ci troviamo a trasgredire le nostre stesse regole. Approfondimento e motivazioni.
Nelle nostre tavole c’è una contraddizione: se i prodotti provenienti dall’Unione europea devono rispettare determinati standard di qualità finalizzati a garantire la sicurezza alimentare, la tutela ambientale, i diritti sociali e il benessere animale, lo stesso non vale per i Paesi di importazione extra Ue. Per ovviare a questo “doppio standard”, Slow Food Italia, in un lungo documento, ha richiesto l’introduzione di alcune “clausole specchio” che garantiscano il principio di reciprocità.
La questione centrale riguarda appunto la disparità tra gli standard qualitativi richiesti alla produzione agroalimentare europea e quelli applicati ai cibi importati dal di fuori dei confini europei: per citare un esempio, per i residui di pesticidi per le merci importante esistono limiti di tolleranza più alti. Ma questa, secondo Slow Food, è una contraddizione che non solo mina gli impegni dell’Ue con il Green Deal, ma ostacola anche la transizione ecologica verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, oltre a rappresentare un problema di sicurezza alimentare. E, inoltre, crea una distorsione della concorrenza a svantaggio degli agricoltori europei, aggravandone il malcontento. La soluzione più immediata, verrebbe da pensare, è quella di non importare più questi prodotti, ma non è così semplice. Infatti, i nostri allevamenti hanno bisogno di soia, risorsa che localmente produciamo in quantità limitata; allo stesso modo, la produzione interna di carne bovina non soddisfa la domanda. Discorso analogo per il riso: molto consumato ma prodotto solo in alcune aree europee adatta a questa coltura. Insomma, siamo fortemente dipendenti dalle importazioni.
E proprio su questi tre alimenti Slow Food ha evidenziato le discrepanze tra alimenti Ue e di importazione: la carne bovina europea, per esempio, segue rigide norme di tracciabilità e benessere animale, assenti in Brasile, dove si usano pratiche vietate in Europa. Ancora, la soia, spesso geneticamente modificata e trattata con glifosfato, solleva preoccupazioni per i residui negli alimenti animali, mentre il riso importato dall’India presenta rischi a causa dei pesticidi vietati in Ue. Per porre fine a questi doppi standard, Slow Food chiede all’Ue e ai Paesi membri di adottare misure speculari per tutte le fasi della filiera e applicando agli alimenti importati le stesse misure di sicurezza richieste per quelli prodotti nell’Unione. E per farlo è necessario assistere gli agricoltori del Sud del mondo nella transizione verso sistemi alimentari agroecologici, consentendo loro di soddisfare standard più elevati. Ma c’è urgenza di agire: a che serve altrimenti tanta attenzione locale se poi per i prodotti importati, che finiscono ugualmente in vendita nei nostri supermercati e sulle nostre tavole, tutto è concesso?