16.11.2024
Carni rincarate del 4,8%, olii vegetali fino al 23%, zucchero del 10%, carenza del personale qualificato per il “work-life balance”. I ristoranti gourmet erano cominciati a spuntare in ogni dove all’insegna del “fine dinning”, e gli chef diventati delle vere e proprie star, per poi iniziare a chiudere negli ultimi 12 mesi. La dura realtà.
Negli anni passati, complice il dilagare dei programmi di cucina che ci hanno fatto credere di essere tutti esperti di “fine dining”, si è assistito a un’esplosione dei ristoranti gourmet in Italia. L’alta gastronomia è sembrata di colpo, se non proprio alla portata di tutti, almeno qualcosa che valesse un sacrificio economico ogni tanto. I locali di lusso hanno iniziato a spuntare in ogni dove, e gli chef sono diventati delle vere e proprie star. Questa tendenza però ha cambiato rotta, e negli ultimi 12 mesi ben 18 ristoranti stellati hanno chiuso i battenti nel nostro Paese, tra trasferimenti e cessazioni effettive. I motivi sono molteplici, e vanno dall’aumento dei costi di materie prime ed energia, alla fatica a reperire personale qualificato, a nuove richieste da parte del pubblico.
L’aumento generalizzato e incontrollato dei costi delle materie prime e dell’energia, seguito alla pandemia e alla guerra in Ucraina, si è fatto sentire in maniera pesante nel mondo della ristorazione. Le materie prime si sono fatte più costose: le carni sono rincarate del 4,8%, gli olii vegetali fino al 23%, lo zucchero del 10%. Contestualmente sono saliti i prezzi degli affitti, e l’inflazione galoppante ha dato il suo contributo: tutto questo si è riverberato sul prezzo medio dei menu proposti, riducendo di conseguenza la forbice dei potenziali clienti.
Un altro tasto dolente è quello della difficoltà a reperire personale qualificato. Periodicamente, chef e proprietari di ristoranti lamentano di non riuscire a trovare camerieri e cuochi per mandare avanti sala e cucina e perciò sono costretti a chiudere o ridurre gli orari di apertura.
Spesso i giovani vengono accusati di non aver voglia di fare gavetta, di essere più interessati ai weekend liberi che all’opportunità di imparare il mestiere.
I lavoratori però si difendono: paghe misere e orari disumani non sono più accettabili. Quello del “work-life balance” è un problema molto sentito dalle nuove generazioni, ma è un concetto poco compatibile con i ritmi serrati delle cucine stellate, dove i turni sono interminabili (anche di 16 ore) e la pressione psicologica notevole. Spesso, poi, chi ha vissuto l’esperienza racconta un clima di perpetuo terrore, dove nemmeno il minimo sbaglio è tollerato, e questo sicuramente non invoglia a tentare la strada.
Ma c’è anche un altro fattore a mandare in crisi i ristoranti gourmet, e cioè il fatto che il cliente non si diverte più. Pagare una cifra considerevole potrebbe essere accettabile, e tutto sommato anche i rincari passerebbero in secondo piano, se solo le esperienze fossero più piacevoli nel loro complesso. In molti hanno cambiato gusti e anche gli habitué più raffinati e benestanti cercano ambienti meno ingessati. Spesso gli avventori lamentano locali troppo poco giocosi, in cui l’atmosfera è tutt’altro che rilassata. Anche gli ingredienti esotici non piacciono più: possono incuriosire una volta, ma alla lunga quello che si cerca è qualcosa di più semplice e rassicurante. Quello che spera chi entra in un ristorante stellato, in definitiva, è che l’esperienza non sia solo gastronomica, ma che lasci in bocca il sapore piacevole di una serata sorprendente.