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Gimondi e Merckx e la storia delle grandi sfide tra campioni

26.05.2023

Ad un passo dalla leggenda, arrivare primi è una questione di secondi. Eterni rivali, nel decennio dal 1969 al 1978, all’insegna di rispetto e lealtà sportiva.

Lo sport vive di grandi sfide. I flash illuminano due ruote fuggenti e imprese passate, volate e sorpassi, arrampicate ardite e discese vorticose in vista del traguardo. Tutto per una maglia: rosa, gialla, iridata. Il ciclismo è stata la loro vita, capace di regalare manciate d’emozioni a chi li sosteneva, a chi li rincorreva con una borraccia d’acqua per alleviare fatiche mai vinte. E quelle immagini in bianco e nero tra lo sfarfallìo di una televisione in scatola (altro che schermi ultrapiatti), le lunghe dispute al bar, l’emozione di vederseli sfilare sotto il naso su strade fasciate d’entusiasmo, rimandano ad un ciclismo d’altri tempi. Che si nutriva di duelli. Non prendetevela con Thomas e Roglic e del loro patto di non belligeranza in questo Giro d’Italia segnato da ritiri, covid, cadute, pioggia e tappe dimezzate. Ma l’esempio di un agonismo sul modello Coppi e Bartali poteva essere raccolto soltanto da loro due: Felice Gimondi ed Eddy Merckx. Con il corredo di frasi che si insinuavano senza mostrare i padri: «Coppi il più grande, Merckx il più forte, Gimondi l’eterno secondo».

Con quest’ultimo, bergamasco di Sedrina, che inconsapevolmente, dopo la scomparsa del Campionissimo, e la vittoria al Tour de l’Avenir (1964), segnava l’accesso delle corse nell’alveo del professionismo, forse un po’ più impersonale ed asettico, incapace di trascinare le folle, nonostante gli Hinault, i Moser, i Saronni, con l’eccezione del “Pirata” Marco Pantani. Ad infiammare gli animi ci avevano pensato un belga coriaceo ed un rappresentante della terra di “Berghem mola mia” (Bergamo, non mollare). Il primo. Un ciclone di potenza atletica che ringhiava sui pedali facendo della completezza la sua arma vincente (letterale) in volata, allo sprint, a cronometro, o sulle cime svettanti delle Dolomiti. Onnivoro, tanto da meritare il nomignolo intimidente di “cannibale”: Édouard Louis Joseph Merckx (questo il suo vero nome), belga di lingua francese con cognome fiammingo, destinato a diventare il campione più vincente di sempre. Ed una tappa al Giro del ’68 (poi, vinto) si fa stigmata, a sfidare le Tre Cime di Lavaredo, sotto la neve in maniche corte (Adorni, secondo; Gimondi, Terzo). Palmarès da brividi: 5 Tour de France (come Anquetil, Hinault e Indurain), 5 Giri d’Italia (al pari di Binda e Coppi), l’accoppiata Giro-Tour per tre volte, una Vuelta, 4 Mondiali su strada, 27 classiche, oltre 500 corse in carriera. Avendo di fronte Gimondi, “secondo”, ma non troppo, campione gentiluomo di impegno e tenacia impareggiabili: 3 Giri d’Italia e nove volte sul podio.

Un Tour de France (1965, a 22 anni!), mentre l’Italia ancora contadina gioiva di successi che profumavano di futuro, con i francesi che si inc… Una Vuelta vinta. Barcellona, 1973: trionfo al Mondiale su strada, in uno sprint fulminante. A 34 anni (1976), veste la maglia rosa finale con sette minuti di vantaggio su Merckx (soltanto ottavo). Essere ad un centimetro dallo strapotere nato in Belgique, aveva convinto Felice (come Eddy) che il loro dualismo appassionante potesse diventare indispensabile alla costruzione delle rispettive leggende. In nome di rispetto ed amicizia. Sembra di sentirlo, Merckx: «Se Pioggia e vento sono un problema, meglio che andiate a giocare a carte. Il ciclismo non fa per voi». Con Gimondi, il secondo che fu primo, non sarebbe successo. Il Giro, allora, era davvero tinto di rosa.

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