6 Gennaio 2025
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Cultura, Società

I Social laboratorio linguistico

04.01.2025

“Brat”, “demure” e molti altri. Il 2024 lascia un’eredità importante di termini e neologismi sconosciuti. Quasi tutti provengono dal mondo dei social. I linguisti però non ne inorridiscono l’utilizzo, anzi, trovano segnali positivi nel fenomeno. Panoramica sul gradimento dei nuovi lemmi nel vocabolario.

La lingua, si sa, si aggiorna, modifica ed evolve continuamente, anno dopo anno e secolo dopo secolo. Vale anche per l’Italiano, che nonostante una tradizione dalla ricchezza inestimabile, non è immutabile di fronte al tempo che passa. E, infatti, anche questo 2024 andrà agli archivi avendoci regalato (o forse in alcuni casi propinato) alcuni termini che, dopo essere entrati nel linguaggio collettivo, sono diventati veri e propri lemmi del vocabolario.
Sono diversi i neologismi che ci siamo portati con noi allo scoccare di Capodanno, e cinque di essi sono finiti nientemeno che nella Treccani. Manco a dirlo, provengono tutti con una linea pressoché diretta dall’universo dei social network, e in particolare di TikTok. Soprattutto gli utenti di questa piattaforma utilizzano infatti in maniera massiccia il termine “demure”, diffuso in contrapposizione e diretta antitesi rispetto a “brat” (che identifica personaggi energici e ribelli), e che ha il significato di composto, elegante, pacato, sobrio, ma in maniera eccessiva, innaturale e quasi ipocrita.
Particolari anche altri due neologismi freschi di inserimento nella Treccani (“delulu”, qualcuno che fantastica costantemente su una realtà che non potrà mai realizzarsi, o “slayare”, fare un lavoro impeccabile e degno di complimenti), mentre un terzo è certamente più alla portata della comprensione di chiunque. Si tratta di «creator»: chi realizza prodotti originali con il proprio talento e creatività, soprattutto in formato video, allo scopo di pubblicarli su una piattaforma digitale di qualsiasi tipo.
C’è infine un acronimo, la sigla “POV” che sta per “point of view” (ossia punto di vista). Deriva direttamente dai videogiochi, ma si può applicare a qualsiasi contenuto audiovisivo in cui chi assiste alla scena vede in soggettiva, come se condividesse gli occhi del protagonista. Un modo per favorire l’immedesimazione nella vicenda rappresentata.
Tutti questi termini potrebbero suggerire un sostanziale imbarbarimento della lingua italiana, tanto per la provenienza della totalità di questi nuovi termini dal mondo dei social quanto per il massiccio utilizzo di inglesismi (a confermarlo ci sono alcuni dei neologismi del Dizionario Zingarelli per il 2025, che spaziano da “overtourism” a “catfishing”, passando per l’abusatissimo “hype”), ma i linguisti non sembrano d’accordo. Anzi: il fenomeno, secondo loro, non fa che confermare la vivacità di una società non ripiegata su se stessa, e che al contrario si evolve con un occhio sempre attento a fenomeni internazionali che diventano anche nazionali.

Massimo Bray, direttore generale di Treccani, sotto questo aspetto è stato chiaro: «TikTok rappresenta un canale espressivo che può essere utile anche per istituzioni o enti come la nostra, aiutandoci ad aprire un dialogo intergenerazionale sempre maggiore». Della stessa lunghezza d’onda Zanichelli, che nel corso dell’anno ha parlato di una propria «maggiore attenzione a una terminologia più inclusiva, per una più completa consapevolezza della realtà a scuola e non solo».

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