01.05.2023
Il disastro sudanese senza fine, raccontato da un Ambasciatore vissuto tra guerre e rivoluzioni
Le guerre si scatenano e sono in atto ovunque nel mondo, non solo in Ucraina. Il caso del Sudan in un’intervista esclusiva all’Ambasciatore Claudio Pacifico. (Parte prima)
Le guerre sono ovunque nel mondo, ma noi ne vediamo, da sempre, solo alcune. Lo ha ben evidenziato “The Economist” nella sua ultima pubblicazione “The world’s deadliest war last year wasn’t in Ukraine”: un titolo che prevale ogni sua traduzione. A condividere l’articolo su Linkedin è stato l’Ambasciatore d’Italia Claudio Pacifico, intervistato nella sua abitazione romana, per parlare di quanto sta accadendo nel Sudan.
«È l’ennesima crisi, che nasce dallo scontro tra questi due generali: Presidente e vice presidente, arrivati al potere dopo la caduta dello storico presidente al-Bashīr». Per l’ex Ambasciatore nel Sudan, Egitto e Libia, all’epoca anche primo rappresentante permanente per l’Europa nella Lega araba, è tutta questione di potere tra due generali che hanno delegittimato al-Bashir, finito per essere condannato di genocidio e crimini di guerra dalla Corte penale internazionale. Sono Abdel Fattah al-Burhan, capo delle forze armate sudanesi, e il capo delle forze paramilitari di supporto rapido Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto come Hemedti.
Sempre di guerre tribali si tratta. Secondo l’Ambasciatore a vita, la mentalità è quella. Ormai sono passati tanti anni, da quando era ambasciatore a Khartoum (1997- 2001). Epoca in cui governava il Sudan “Bashir”, rimasto al potere per 30 anni. Così lo chiama con naturalezza, usando uno slang arabo, che pochi conoscono. «Sul mio ultimo libro “Particolari sul senso del Presente”, infatti, ci stanno una quarantina di pagine che raccontano questo particolare. Dietro questo scontro di poltrone, esiste uno scontro tribale. La crisi del Darfour di cui era responsabile “Bashir”, era già crisi tribale all’epoca».
Nelle sue dichiarazioni, Pacifico non ha mai nascosto gli errori commessi dall’Occidente in quei Paesi. Ma la sua costruttiva autocritica non è stata sempre accolta con il buon senso da parte degli operatori del settore. «Il presidente attuale è sostenuto dall’Egitto, ma gli inglesi credono ancora di avere un diritto morale sul Sudan» – afferma riflessivo – «Gli inglesi hanno continuato a considerarsi legittimi governatori del Sudan. L’incidente di Fascioda, accaduto nel 1986; l’asse del colonialismo inglese che si sviluppava verticalmente dal Cairo fino alla Città del Capo; quello orizzontale francese, che partiva dal Mali e il Senegal, sull’Oceano atlantico, e arrivava fino alla costa orientale del Mar Rosso, sono tutti incroci terribili per la sopravvivenza degli abitanti di quelle zone del mondo».
Ma la guerra continua, dislocando masse di rifugiati, così da spingere l’Agenzia ONU per i Rifugiati ad annunciare forti rischi in tutta la regione. C’è anche dell’altro; l’onnipresenza Russo-cinese in Africa è da considerare ormai un dato di fatto. C’è soprattutto l’indebolimento generale della forza politica Occidentale (in particolare quella anglosassone), che sta perdendo una posizione dopo l’altra in tutte quelle zone, a cominciare dai Paesi del Golfo, più in là, oltre il Mar Rosso. Su questo il Presidente Macron non aveva dubbi, ed è stato lui il primo a riconoscersi colpevole in Africa, adottando una politica di modernizzazione delle relazioni franco-africane.
(Leggi la seconda parte dell’articolo)
Credito fotografico:
UNHCR/Aristophane, Ngargoune