05.11.2024
I due volti dell’America andranno a votare oggi, dopo una campagna elettorale considerata la più costosa della storia USA, segnata dal clamoroso cambio in corsa tra Joe Biden e Harris. Vincerà Kamala che rappresenta l’America multietnica e diversa, o Trump che rimpiange il tempo in cui c’erano solo i bianchi? È ancora impossibile dirlo.
Il 5 novembre è arrivato. La lunga corsa verso le presidenziali americane 2024 è finita. Nel giro di poche ore, si sarà stata l’apertura dei seggi, prima sulla costa atlantica e poi gradualmente a ovest, verso il Pacifico. I sondaggi, che fotografano un Paese spaccato a metà a livello nazionale, rendono l’attesa dei risultati ancora più ansiosa del solito. Vincerà la democratica Kamala Harris, attuale vicepresidente, o il repubblicano Donald Trump, alla ricerca di una clamorosa rivincita dopo la mai digerita sconfitta del 2020? Dopo la campagna elettorale più costosa della storia USA, segnata dal clamoroso cambio in corsa tra Joe Biden e Harris, è impossibile dirlo.
La spaccatura è solo in parte legata al diverso carattere dei due contendenti. Harris è giovane e allegra (per qualcuno anche troppo), Trump anziano e arrabbiato (cosa che a qualcuno piace). Harris rappresenta l’America multietnica e diversa che bussa alla porta, Trump quella che rimpiange il tempo in cui c’erano (o almeno comandavano) solo i bianchi. E ancora Harris è californiana e funzionario pubblico, Trump newyorchese (in esilio) e imprenditore con una storia piuttosto contraddittoria. In un anno normale, forse questo sarebbe bastato a decidere.
Oggi, gli USA sono però spaccati a metà in termini perlopiù ideologici o addirittura identitari. Più che i programmi concreti, relegati in terzo piano, si combatte sulla visione dell’America e del suo ruolo nel mondo. Per Trump, la ricerca della grandezza si traduce in un sostanziale isolazionismo; per Harris, nel mantenere ruolo di riferimento in un mondo in trasformazione, con tutte le difficoltà che ciò comporta. Trump guarda, con pragmatismo che confina con il cinismo, agli accordi con gli autocrati in nome della stabilità; Harris crede ancora nel sempre più fragile multilateralismo.
Su questo gli americani stanno votando da tempo. Se l’apertura dei seggi è stata programmata solo martedì 5 novembre mattina, quasi ovunque è stato possibile votare per posta o “in anticipo”, depositando la scheda nelle urne già predisposte negli uffici pubblici. Sono stati 75 milioni i cittadini che ne hanno approfittato. Di solito, l’alta affluenza premia i democratici, ma questa volta il clima di battaglia culturale potrebbe giocare a favore dei repubblicani.
Pur trattandosi di un voto interno, il peso oggettivo degli USA sulla scena mondiale lo rende in un certo senso il “voto più importante del mondo”. Proprio per questo, chiunque vinca, l’aspetto cruciale sarà forse quello dell’accettazione o meno del risultato. Il rifiuto di ammettere la sconfitta – come Trump non fece nel 2020 – potrebbe infatti tradursi nel rapido passaggio dalla guerra legale, con ricorsi e controricorsi, agli scontri armati. Su X corre già la notizia che su Telegram gruppi armati repubblicani starebbero organizzando proteste contro i presunti brogli. Se fosse vero, la prima vittima sarebbe la democrazia americana: forse il più bel regalo per i MASA, i Make America Small At last (Rendete Finalmente Piccola l’America). È per questo che le prossime 24-72 ore avranno un’importanza fondamentale per il mondo intero. Anche chi non ama particolarmente gli USA trema al pensiero della lotta senza quartiere che si scatenerebbe per occuparne il posto sulla scena mondiale.
Che vinca il migliore, o almeno il meno peggio, e che l’altro accetti il risultato serenamente.