13.03.2024
Sono i “cibi ultraprocessati” noti per la loro praticità caratterizzante la vita frenetica dei nostri mondi. Cibi pronti da riscaldare, snack confezionati, cereali zuccherati o bevande gassate. Una maxi ricerca evidenzia tutti i danni che questi prodotti provocano all’organismo, tra cui anche il drastico aumento dei rischi di decesso.
Prodotti pronti per il consumo, e quindi solo da riscaldare o direttamente da mangiare. Ma anche snack confezionati, merendine, cereali zuccherati o bevande gassate. Sono i cosiddetti “cibi ultraprocessati”, beni dal consumo sempre più ampio, sia per la loro praticità che per gusto e sapore (pensati apposta per solleticare l’acquolina delle persone). La loro nocività è tuttavia nota pressoché da sempre, anche se l’entità dei loro possibili danni per l’organismo umano era difficile da calcolare. Ebbene: nel frattempo ha provveduto una maxi-ricerca, i cui dati coprono un campione di ben 10 milioni di persone.
A renderla nota al pubblico è stato l’autorevole British Medical Journal (BMJ), che si è assunto il compito di revisionare e riassumere i risultati di 14 metanalisi relative a un totale di 45 studi aggregati sul delicato tema. Un cosiddetto “umbrella review”, che fonde tre anni di lavoro sui cibi ultraprocessati e fornisce ora un quadro esaustivo su questi prodotti e i loro effetti nocivi sulla nostra salute. Il cui numero è elevatissimo: 32.
Lo studio, molto elaborato, fonde le prove raccolte sull’immensa mole di partecipanti (oltre nove milioni e 800 mila), le confronta tra loro e ne classifica la qualità. Tra esse ce ne sono, infatti, di attendibilità alta, moderata, bassa, ma anche molto bassa. La loro sintesi certifica, tuttavia, che a un consumo elevato di alimenti ultralavorati si associa, per esempio, un aumento del 12% dei rischi di contrarre il diabete di tipo 2 e addirittura del 50% di incorrere in malattie cardiovascolari dall’esito mortale.
Rilevati, inoltre, rischi connessi a patologie gastrointestinali, asma e anche alcune forme tumorali. In questo caso, però, l’entità delle prove è risultata meno importante. Risale, invece, quando si prendono in considerazione altri problemi non meno impattanti sulla salute, specie nella nostra contemporaneità. L’assunzione in quantità eccessiva di cibi ultraprocessati provoca infatti un aumento del 48-53% nel rischio di sviluppare ansia e disturbi mentali (altro che “comfort food”…).
Ma, allargando il campo, questi prodotti aumentano di un monumentale 21% i rischi di decesso in generale: per qualsiasi causa.
I motivi dietro questi dati agghiaccianti sono abbastanza chiari, soprattutto se si considera l’elaborato processo industriale necessario per ottenere i cibi ultraprocessati. Nocivi sicuramente per la presenza di coloranti, emulsionanti, aromi e additivi di vario genere. Ma anche per l’apporto nutrizionale: tipicamente elevato per quanto riguarda grassi, sale, zuccheri aggiunti, mentre vitamine e fibre spesso non superano lo 0.
Numeri che sicuramente possono colpire, ma che resterebbero poco utili se non accompagnati da precisi interventi delle istituzioni. E proprio questo è l’appello finale del British Medical Journal, rivolto nientemeno che all’ONU e ai suoi Stati membri: «Sono necessarie azioni di salute pubblica, mirate a ridurre il più possibile il consumo di alimenti ultra-lavorati». Magari, si precisa, «una convenzione quadro, come quella adottata contro il tabacco».