4 Settembre 2025
/ 3.09.2025

Il mondo dei cosmetici è davvero cruelty free?

Nel 2025 per testare un rossetto o una crema esistono molti modi: modelli computazionali avanzati, pelli artificiali, cellule umane in laboratorio. Eppure, in molte parti del mondo, migliaia di animali continuano ad essere sottoposti a test invasivi, dolorosi e spesso letali. Tutto a causa di un sistema industriale e normativo che fatica a cambiare, nonostante le alternative ci siano, e funzionino. Ma qualcosa si muove. E anzi, per certi versi, cambia radicalmente.

Una buona, anzi, un’ottima notizia in questo senso arriva dal Brasile, che a luglio ha approvato una legge storica, mettendo lo stop alla sperimentazione animale a fini cosmetici su tutto il territorio nazionale. Una svolta non solo etica, ma anche scientifica e culturale, che arriva dopo oltre un decennio di battaglie civili, campagne pubbliche e pressione sociale.

La svolta del Brasile

In breve, la nuova normativa vieta l’uso di animali vertebrati nei test per cosmetici, prodotti per l’igiene personale e profumi, ma non solo. Impone anche il divieto di commercializzazione di qualsiasi prodotto o ingrediente testato su animali, fatta eccezione per i test richiesti da normative internazionali.

Una legge, questa, che è frutto di una battaglia iniziata nel 2013 e rimasta bloccata per anni negli ingranaggi parlamentari. Dunque, per arrivare a una svolta concreta è stato decisivo l’impegno di associazioni come Te Protejo e Humane World for Animals, sostenuto da una mobilitazione popolare e che ha raccolto oltre 1,6milioni di firme online.

on questa decisione, il Brasile si unisce ad altri 44 Paesi nel mondo che hanno messo già al bando la sperimentazione cosmetica su animali, tra cui diverse nazioni latinoamericane come Cile, Messico e Colombia. Ora la palla passa all’ANVISA (Agenzia nazionale di vigilanza sanitaria), che avrà due anni di tempo per definire i protocolli di controllo dei metodi alternativi.

La situazione in Italia

Ma quanto è realmente cruelty-free il mondo dei cosmetici? E soprattutto, qual è la situazione in Italia e in Europa? “La situazione, se paragonata al contesto globale, si trova in una posizione abbastanza pionieristica, nel senso che in Europa c’è stato per la prima volta nel 2004 il divieto di test per le sostanze cosmetiche, che poi è stato rafforzato nel 2013 in quanto è stato proibito anche importare nel territorio della comunità europea sia ingredienti che prodotti finiti testati sugli animali. Quindi possiamo dire che dal 2013 in Europa – e dunque anche in Italia – dovrebbe essere vietata la commercializzazione di prodotti cosmetici testati su animali” commenta, Valeria Albanese, responsabile Lav – Lega Antivivisezione.

“Uso però il condizionale: purtroppo esistono ancora scappatoie normative che permettono la presenza sul mercato di cosmetici con ingredienti testati su animali. In molti casi, si tratta di sostanze disciplinate da altri regolamenti, come il REACH per le sostanze chimiche, che impongono test obbligatori indipendentemente dall’uso cosmetico”, spiega.


Una situazione quindi meo chiara di quanto possa sembrare, anche per via della frammentazione normativa e della mancanza di controlli efficaci alle frontiere. E le aziende, in molti casi, si rifugiano dietro questa “scusa” per non fare un vero e proprio passo concreto verso metodi alternativi già disponibili e scientificamente validi.


“Oggi abbiamo a disposizione metodi alternativi estremamente affidabili, perché si basano su cellule umane e dati oggettivi riferiti all’essere umano, non a topi, conigli o ratti. Parliamo di pelle artificiale, membrane che riproducono la barriera cutanea, test in vitro, modelli computazionali”, chiarisce Albanese. “Questi test sono economici, riproducibili e rapidi. Quindi anche per l’azienda sono una scelta vantaggiosa”.

Il marchio Leaping Bunny

A dimostrazione di questo, Lav promuove da diverso tempo il marchio Leaping Bunny, riconoscibile per il suo logo – un coniglietto stilizzato -, e che rappresenta lo standard internazionale per i prodotti davvero cruelty-free. E a differenza di molte diciture vaghe e spesso fuorvianti presenti sulle confezioni, Leaping Bunny garantisce un controllo annuale sull’intera filiera produttiva da parte di enti certificatori come ICEA. Albanese infatti sottolinea che “purtroppo, molti consumatori sono confusi da etichette ambigue. L’unico marchio realmente affidabile è quello del Leaping Bunny, che certifica l’assenza totale di test su animali lungo tutta la filiera”.

Ma se i test alternativi sono validi ed economici, allora perché i prodotti cruelty-free non costano sempre meno? “Non è detto che il prezzo finale sia più basso – risponde Albanese – per alcune aziende, soprattutto le più piccole, può essere difficile riconvertire processi già avviati. Alcuni ingredienti devono essere sostituiti, e aderire a standard certificati ha dei costi. Le grandi aziende, invece, possono sostenere questi investimenti senza incidere troppo sul prezzo al pubblico”.

Insomma, dal Brasile il segnale arriva forte, e la speranza è che il futuro sia sempre più cruelty-free. Ma a una condizione: che non ci si limiti alle leggi, ma si continui a vigilare, informare e, soprattutto, scegliere consapevolmente.

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