05.02.2024
Il nucleare senza paura, si può
Da Carlo Rubbia al suo allievo Stefano Buono, la storia del sogno di un’energia nucleare pulita e rassicurante passa attraverso un mini reattore nucleare di IV generazione, in grado di utilizzare i rifiuti già prodotti da impianti nucleari esistenti. «Il design stesso rende impossibili incidenti come quelli avvenuti in passato».
Pare che l’idea sia balenata direttamente nella testa di Carlo Rubbia, Premio Nobel per la Fisica nel 1984. Siamo negli anni ‘90 quando già si immaginavano sistemi puliti e sicuri nel campo dell’energia nucleare. Ora quell’idea è maturata e il sogno di realizzare un reattore che non faccia più paura si sta materializzando nel cervello di Stefano Buono, allievo di Rubbia, imprenditore e lui stesso fisico nucleare.
L’anno sabbatico a bordo del suo trimarano Elssa, girovagando tra Australia, Polinesia e Galapagos, gli ha dato la spinta per catapultarsi in un’avventura difficile, un’impresa irta di ostacoli che chissà dove porterà. «Diciamoci la verità – aveva ammesso Buono – il nucleare è diventato uno spauracchio dopo gli incidenti di Chernobyl e Fukushima. Gli studi son rimasti congelati per 35 anni. È ora di andare avanti e ripartire».
Avellinese, 58 anni compiuti da poco, Stefano Buono si laurea a Torino. Lavora al Crs4 (il Centro di studi interdisciplinari in Sardegna) e poi sbarca a Ginevra, al Cern, dove entra a far parte proprio del team di Rubbia. Ci resta una decina di anni, ma la sua indole da imprenditore, che lo aveva caratterizzato fin dagli anni delle Superiori, ha la meglio e così nel 2002 fonda la AAA (Advanced Accelerator Applications), un’azienda di medicina nucleare di prodotti diagnostici e terapeutici per la medicina nucleare molecolare. Non si ferma. Nel 2018 la vende per 3,9 miliardi di dollari al gigante farmaceutico Novartis e si prepara a tornare al suo amore di sempre, l’energia atomica. E così nel 2021 dà vita a Newcleo, start-up che punta a realizzare una nuova generazione di reattori nucleari dalle dimensioni ridotte, trasportabili e dal costo enormemente inferiore rispetto agli altri.
Macchine sicure e potenzialmente inesauribili capaci di utilizzare come combustibile i rifiuti già prodotti da impianti nucleari esistenti. La cosiddetta miscela Mox (Mixed oxide fuel). Il ruolino di marcia prevede a breve test – su sistemi non nucleari – al centro Enea del Brasimone (nell’Appennino Bolognese al confine con la Toscana), che nel 2026 ospiterà anche un prototipo (sempre non nucleare). Il primo reattore da 30 MWe e la prima fabbrica di combustibile partiranno nel 2030 in Francia, mentre la prima mini-macchina commerciale dovrebbe diventare operativa, almeno questa è l’intenzione, nel 2032, in Inghilterra. «Non avremo bisogno di estrarre uranio: per centinaia di anni si potrà usare quello già estratto – ha spiegato lo stesso Buono – In questo modo si produrrà meno di un metro cubo di scarti per ogni gigawatt elettrico annuo. E i rifiuti avranno vita breve: saranno radioattivi per 250 anni, contro i 250mila delle scorie delle centrali tradizionali».
E per il raffreddamento? Presto detto, si userà il piombo invece dell’acqua. «Le proprietà del piombo – continua Buono – rendono il sistema intrinsecamente sicuro. In altre parole, il design stesso rende impossibili incidenti come quelli avvenuti in passato». Buono ha calato i suoi quattro assi: in attesa della fusione piccoli impianti crescono.