11.08.2024
Nutrirsi dei pesci esposti nell’acquario non è un po’ come consentire di prendere mattoni per l’edilizia dal Colosseo? Allo zoo non sarebbe preferibile il safari? Il tema di convivenza armoniosa tra uomo e animali resta una questione aperta.
Si potrebbe chiamare “il silenzio delle razze” o “il silenzio dei pinguini”. È quell’istinto riflessivo di auto-interrogazione e di decorosa ribellione che sorge in seno alla propria coscienza quando si visita un acquario, un museo, un parco protetto e ci si domanda se abbia senso “esporre” esemplari di una specie che musealizziamo e, al contempo, mangiamo, contenuti in spazi ridotti quando avrebbero tutto un loro habitat da godere. In tema di convivenza armoniosa tra uomo e mondo animale sono molte le questioni aperte. C’è l’abbattimento degli orsi, che ha già suscitato proteste scaturite in denunce, come quella dell’Enpa, contro il Presidente della Provincia autonoma di Trento, Fugatti, la sensibilità vegetariana, quella vegana, le lamentele contro circhi, zoo, e, in ultimo, il silenzio dei pinguini. Tutti casi che possono prevedere risposte individuali o associative, dall’azione legale alla reazione del consumatore consapevole, per giungere poi alla “sovversione silenziosa” di chi domanda e si domanda qual è il nostro posto nell’universo conoscibile della natura.
Ad interrogar persone in loco c’è da riflettere. Alcuni sostengono che i bambini devono vedere i pinguini un po’ depressi e le razze che danzano negli acquari (sempre meglio che dissezionate per le ricette online) in modo da far acquisire loro la giusta sensibilità nei confronti dei temi caldi del Pianeta. Si tratta dei pinguini “Cristi”, crocefissi sull’altare del bene comune e di quello dei propri simili. Per altri, allestendo paternalisticamente spazi espositivi e culturali, si corre il rischio di far passare il messaggio che l’Uomo sia padrone di tutto. L’Uomo padrone del pinguino, ma allora anche l’Uomo padrone dell’Uomo, sulla linea del tempo che precorre la sua stessa storia. In questa prospettiva si “capisce” il perché della guerra e anche uno squalo può far pena. È una riflessione che riporta vagamente alla memoria le vicende del “Musée de l’Homme”, sorto in Francia come la più grande esposizione dedicata all’umanità, apparentemente volta a contrastare i pregiudizi, nel primo incontro tra scienze naturali e sensibilità umanistica.
Il caso del “silenzio delle razze” e degli altri pesci, considerando anche che l’Italia è il terzo Paese per consumo di carne di squalo, è ancora più emblematico. Nutrirsi del pesce che troviamo al museo non è un po’ come consentire di prendere mattoni per l’edilizia dal Colosseo? Un evento e un monumento si possono osservare più che riprodurre? Sulla soglia estendibile che demarca la differenza tra folklorico e folklore, allo zoo non sarebbe preferibile il safari? Quali diritti debbano avere i nostri amici animali, sulla base delle diverse opinioni emerse anche nel nostro Paese, non è un dubbio irrisolvibile, amletico, ma un campo della giurisprudenza aperto, con Paesi dell’America Latina che, senza considerare eventuali contraddizioni insite nelle pratiche, hanno già costituzionalizzato i diritti della natura a cui ogni uomo si può appellare.