10 Luglio 2025
/ 10.07.2025

In Europa il green vacilla perché il portafoglio resta in mano ai fossili

Bocciato l’emendamento a favore del taglio del 90% delle emissioni serra. La transizione rallenta perché gli strumenti tecnico-economici non sono sufficienti e le imprese green vengono rallentate

C’è uno scontro politico netto in Europa e la linea di frattura passa per l’ambiente. L’ultimo confronto è avvenuto ieri in occasione del voto sulla procedura d’urgenza chiesta da Verdi, Socialisti e Renew Europe per blindare l’emendamento che fissa il taglio del 90 % delle emissioni serra entro il 2040. Ha vinto il no con 379 voti, 300 a favore, 8 astenuti. Con questa decisione il Parlamento europeo ha bocciato la corsia privilegiata per arrivare a novembre  alla conferenza Onu sul clima di Belém, in Brasile, con l’obiettivo 90% approvato.

Ora il percorso diventa più lungo ed incerto. E questo rappresenta per il continente un rischio economico, perché senza un segnale politico forte gli investitori tentennano, i piani industriali di innovazione si indeboliscono e le politiche di supporto per i settori più esposti saltano. Ma anche un rischio politico: la convergenza tra il Partito Popolare Europeo (PPE), le destre tradizionali e quelle più estreme può far saltare la coalizione guidata da Ursula von der Leyen.

Questa coalizione aveva già fatto un passo indietro rispetto alla “maggioranza Ursula” che aveva giocato un ruolo importante nel precedente Europarlamento includendo i Verdi. Ma adesso il partito popolare affidato a Friedrich Merz si è impegnato in una partita ad altissimo rischio politico e sociale, flirtando con l’estrema destra ogni volta che vuole bloccare il percorso del Green Deal. Contro l’ambiente anche a costi di imbarcare i neonazisti che potrebbero essere dichiarati fuori legge dalla magistratura tedesca?

Scegliendo l’avventura con le forze politiche che, un secolo fa, hanno destabilizzato il continente portandolo alla rovina, l’Unione Europea metterebbe a rischio la sua esistenza. Perché la crisi climatica si può avvitare su quella sociale creando dinamiche molto difficili da controllare con una macchina della comunicazione web influenzata da elementi opachi, centri di manipolazione che spesso fanno riferimento a Paesi retti da autarchie legate ai combustibili fossili.

Le due emergenze – climatica e sociale – rischiano dunque di creare un corto circuito letale. Ormai i picchi di calore triplicano i morti colpendo soprattutto i più deboli, mentre alluvioni e frane completano l’assedio climatico. Serve una transizione ambientale equa, che usi le nuove forze economiche per mitigare la pressione del caldo e ridurre le distanze sociali. Perdere il timone di questo processo, con gli Stati Uniti che per il momento hanno passato la mano, significherebbe consegnare la guida del cambiamento alla Cina. Cioè riconoscere il fallimento delle democrazie rappresentative.

Il rischio è evidente e molto alto. Ma definirlo non basta a vincere la partita. Bisogna anche chiedersi perché le destre riescano a far passare il messaggio che il Green Deal è un peso per le imprese, una tassa per la collettività. Non è solo a causa delle fake news sapientemente diffuse. C’è la tendenza – da parte della sinistra e degli ambientalisti – a definire il cosa e non il come. Gli obiettivi e non il percorso.

Dal punto di vista scientifico la situazione ha una chiarezza cristallina. Finora i rischi climatici sono sempre stati definiti per difetto: la situazione reale ha superato le previsioni dei climatologi e sulle minacce che stanno accanto a noi (non davanti a noi) non ci sono dubbi. Ma gli strumenti da mettere a disposizione delle imprese perché accelerino la conversione ecologica sono insufficienti e spesso contraddittori. 

In Europa le rinnovabili continuano a venire rallentate da un sistema decisionale pieno di trabocchetti e l’economia circolare è spinta più a parole che con incentivi reali. Mentre in Cina davanti alla nuova economia è stato steso un tappeto rosso. Per essere competitivi non basta fissare obiettivi sempre più alti. Bisogna stimolare le imprese e spostare le risorse economiche dai settori inquinanti a quelli green. Altrimenti le promesse diventano un boomerang.

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