Il Regno Unito ha appena archiviato la primavera più calda, più luminosa e tra le più secche della sua storia. A lanciare l’allarme è il Met Office, l’agenzia meteorologica britannica, che ha certificato un aumento delle temperature primaverili di 1,4 gradi rispetto alla media stagionale. Tra marzo e maggio la temperatura media è stata di 9,5 °C, la più alta mai registrata dal 1884, superando il precedente record che risaliva all’anno scorso. Segno che quello che un tempo era considerato eccezionale sta diventando la nuova normalità.
Non si tratta di un’anomalia isolata: secondo il Met Office, otto delle dieci primavere più calde si sono verificate dopo il 2000. “Le tre primavere più calde mai registrate si sono tutte concentrate dopo il 2017”, sottolinea l’agenzia. Un dato che fotografa chiaramente un cambiamento climatico ormai in atto, e che colpisce anche una nazione tradizionalmente associata a piogge costanti e cielo plumbeo.
Siccità e mari bollenti: l’eccezione è diventata la regola
Non solo caldo. Anche il sole ha battuto ogni record: 653,3 ore di irraggiamento tra marzo e maggio, il 43% in più rispetto alla media. Un dato che ha superato ogni precedente primaverile dal 1910, anno di inizio dei rilevamenti. Il problema è che a questo boom di sole non ha fatto seguito un equilibrio nelle precipitazioni: nel trimestre primaverile sono caduti appena 128,2 millimetri di pioggia, rendendo quella del 2025 la “primavera più secca da oltre 50 anni”.
E se l’intero Regno Unito ha ricevuto il 40% di piogge in meno rispetto alla media storica, l’Inghilterra è il caso più estremo: è stata la primavera più secca da oltre un secolo, battuta solo da quella del 1893. A fine maggio, l’Agenzia per l’Ambiente ha ufficialmente dichiarato lo stato di drought – siccità – nel nord-ovest dell’Inghilterra, dove i livelli dei serbatoi e dei fiumi sono “particolarmente, se non eccezionalmente bassi”. Anche in Scozia la situazione è simile.
Non è andata meglio ai mari: le acque attorno al Regno Unito hanno vissuto un’ondata di calore marina in aprile e maggio, con temperature superficiali superiori anche di 4 gradi rispetto alla norma in alcune aree. Una dinamica che aggrava la fragilità degli ecosistemi marini e alimenta ulteriormente l’instabilità climatica.
Agricoltori in trincea: raccolti a rischio e irrigazione anticipata
A pagare il conto più salato di questo clima impazzito sono gli agricoltori. Ci sono aziende che hanno dovuto iniziare a irrigare i campi già a metà primavera, ben prima del consueto, a causa dell’assenza di piogge. In molti casi, i semi non sono nemmeno germogliati, bloccati da un terreno arido e compatto. Una condizione che mette a rischio i raccolti estivi e autunnali e aggrava la già precaria stabilità economica del comparto agricolo britannico.
Il grido d’allarme non si ferma ai confini britannici. Una siccità senza precedenti da decenni sta colpendo il nord dell’Europa: Danimarca, Olanda, e nord della Francia si trovano in una condizione molto simile, con campi riarsi, fiumi in secca e agricoltori preoccupati per le rese delle coltivazioni già seminate. Le istituzioni iniziano a muoversi, ma la radicalità dei fenomeni climatici rende difficile una pianificazione efficace.
“La primavera di quest’anno mostra chiaramente i cambiamenti nei nostri schemi meteorologici: condizioni sempre più estreme, con periodi secchi e soleggiati prolungati che stanno diventando la norma”, ha spiegato Emily Carlisle del Met Office.
Di fronte a questi dati, la reazione degli esperti è netta. Alec Hutchings, consulente per il clima del Wwf, ha definito il nuovo bollettino del Met Office “un avvertimento brutale”. “Il cambiamento climatico – ha detto – non è più una minaccia futura: è qui, adesso, e dobbiamo agire immediatamente”. Ma agire come? Oltre agli interventi locali – come il risparmio idrico o i piani agricoli d’emergenza – la risposta passa dalla riduzione delle emissioni di gas serra.
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