28 Giugno 2025
/ 27.06.2025

In Sardegna batteri e piante autoctone riportano vita nei suoli contaminati

Bonificare e rendere di nuovo fertili i terreni inquinati da metalli pesanti utilizzando batteri "buoni" e piante autoctone.E' uno dei risultati di Return, un progetto nazionale che coinvolge, oltre a Enea, 26 partner tra università, enti di ricerca, istituzioni pubbliche e private

Nel sud-ovest della Sardegna, tra le colline silenziose dell’ex sito minerario di Ingurtosu, qualcosa sta cambiando. Dove per decenni si sono accumulati rifiuti e contaminanti legati all’estrazione di piombo e zinco, oggi la scienza sta cercando di restituire fertilità e biodiversità a un paesaggio segnato dall’inquinamento. Qui, nel cuore del Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna – riconosciuto dall’Unesco – prende forma una delle sperimentazioni più avanzate del progetto Return, finanziato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Coordinato da Enea e con il coinvolgimento di 26 partner tra università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e soggetti privati, il progetto Return ha come obiettivo lo sviluppo di soluzioni innovative per affrontare i rischi ambientali, naturali e causati dall’uomo, puntando sulla rigenerazione sostenibile dei territori. A Ingurtosu, l’attenzione si concentra sulla bonifica dei terreni contaminati da metalli pesanti, attraverso un metodo che unisce tecnologia e natura.

La chiave di questo intervento è la bioaugmentation, ovvero l’introduzione nel suolo di undici ceppi batterici isolati direttamente dagli scarti minerari dell’area. Si tratta di microrganismi nativi, capaci non solo di sopravvivere in ambienti fortemente contaminati, ma anche di rendere meno mobili e pericolosi i metalli, grazie alla produzione di sostanze che favoriscono l’attecchimento delle piante. In particolare, i batteri stimolano la crescita di specie vegetali tipiche del luogo, come l’elicriso, contribuendo così a ripopolare il suolo e a migliorare la sua struttura microbiologica.

Come ha spiegato Chiara Alisi, ricercatrice del Laboratorio Tecnologie per la Salvaguardia del Patrimonio Ambientale di Enea, le attività minerarie hanno causato un grave degrado ambientale nell’area. Dal 2011, assieme al Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dell’Università di Cagliari, Enea ha avviato studi per analizzare l’interazione tra metalli pesanti, piante spontanee e batteri del suolo. Oggi, grazie a questo percorso, è possibile immaginare una vera rinascita di territori fino a pochi anni fa ritenuti compromessi.

Il progetto si distingue per il suo approccio ecologico e replicabile. Al posto delle bonifiche tradizionali, che spesso prevedono escavazioni profonde e l’asporto del materiale contaminato con costi elevati e un impatto ambientale significativo, si punta su soluzioni più morbide, capaci di restituire vitalità al terreno in modo graduale e duraturo. I primi risultati ottenuti sono incoraggianti: la concentrazione e la pericolosità dei metalli si stanno riducendo, mentre cresce la copertura vegetale e migliora la salute complessiva del suolo.

Il modello sviluppato a Ingurtosu potrebbe presto essere applicato anche ad altri siti contaminati in Italia e in Europa. Del resto, il progetto Return si inserisce in un piano più ampio promosso dal Pnrr, che prevede interventi di bonifica in oltre 600 siti orfani sul territorio nazionale. L’obiettivo è non solo ambientale, ma anche economico e sociale: riportare valore in territori abbandonati, riattivare economie locali e restituire alle comunità la possibilità di vivere in ambienti sani e rigenerati.

Come ha sottolineato Alisi, ridare vita ai suoli contaminati significa curare una ferita profonda e allo stesso tempo costruire un futuro sostenibile. La scienza, in questo caso, non agisce da sola, ma si affianca ai ritmi della natura, lavorando in sinergia con le forme di vita più semplici e, al tempo stesso, più essenziali: batteri e piante che, insieme, rendono possibile una vera rinascita ambientale.

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