5 Ottobre 2024
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Economia, Food, Giustizia

Insensibili

La piaga degli allevamenti intensivi, inferno animale che ci porta a fingere che la sofferenza di chi non ha parola e pare dipendere da noi, non sia contemplabile con lo sviluppo, che la necessità sia una virtù che deve prevalere sulla pena degli animali.

Guardare le immagini degli allevamenti italiani ed esteri dove è stata praticata la violenza sugli animali, scoperta grazie a indagini e inchieste giornalistiche, è un tuffo dentro noi stessi. Si viaggia con mente e cuore nelle concrezioni occulte dell’essere che ci consentono di fingere, a discapito della più autentica evoluzione umana, che la sofferenza di chi non ha parola e pare dipendere da noi non sia contemplabile, che la necessità è una virtù che deve prevalere sulla pena. Ci sono scrofe adagiate su un fianco, costrette a restare nella medesima posizione, con la testa spinta verso il pavimento da sbarre metalliche. Alcune hanno la bava alla bocca, i loro piccoli morti davanti agli occhi che piangono sangue, gli altri attaccati alle mammelle.

Maiali che non hanno mai visto l’erba né uno spazio all’aria aperta, picchiati, mutilati, feriti, infetti, tra escrementi e qualche roditore. Si vedono polli che crescono a dismisura fino a non potersi reggere. Il loro becco, come quello delle galline, di anatre e tacchini, viene, in alcuni casi, rimosso per ridurre le ferite causate dallo stress di vivere stipati in grandi spazi tra i cadaveri dei loro simili.
Gli allevamenti intensivi sorgono nel secolo scorso con l’aumento della popolazione mondiale e per l’esigenza di incrementare l’offerta di carne, latte, uova, formaggio e pesce. Realtà che rischiano di divenire, anche se per fortuna non tutti gli allevatori hanno questa filosofia, luoghi di produzione dove il risparmio a tutti i costi ha un peso enorme sul benessere animale, sulla salute, su questioni etiche non ancora affrontate, sull’ambiente. Tra le pratiche discutibili dell’uomo padrone del destino di altri viventi per il massimo profitto c’è anche il corso deviato della vita di mucche da latte, messe al mondo con un’aspettativa di vita di vent’anni e soppresse a tre o quattro. Ma anche i parti a ciclo continuo e la separazione sistematica dai vitellini che non servono.

 È uno scandalo che interpella tutti coloro che riflettono sul loro modo di stare al mondo e di percepirlo. Nel 2021 la Commissione Europea ha assunto l’impegno formale di presentare, entro il 2023, la proposta legislativa volta a vietare l’uso di gabbie negli allevamenti europei. L’iniziativa dei cittadini europei (ICE), strumento di democrazia partecipativa previsto per le questioni di comune interesse nelle politiche dell’Unione Europea, denominata End the Cage Age aveva raccolto 1,4 milioni firme grazie a 170 associazioni coordinate da Compassion in World Farming (CIWF). È stato appena presentato un ricorso alla Corte di Giustizia dell’UE, in attesa di decisioni certe. Nel frattempo, sul web, si moltiplicano gli appelli di realtà associative e persone sensibili al tema, con lo slogan tratto dalle parole dell’antropologo e medico Paul Farmer: «l’idea che alcune vite valgano meno di altre è la radice di tutto ciò che è sbagliato al mondo». Vale se si parla di etnie, ma anche di specie, per un’azione urgente che ci renda davvero più umani.

 

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