11 Dicembre 2025
/ 11.12.2025

La cucina italiana conquista l’Unesco

Il riconoscimento Unesco, arrivato il 10 dicembre 2025, è una vittoria che celebra un modello culturale e un rituale sociale

La notizia era attesa, ma il risultato non era affatto scontato: mai prima d’ora un Paese aveva visto riconosciuta dall’Unesco la totalità della propria tradizione gastronomica. È vero che in passato, alcuni Paesi avevano visto celebrate singole pratiche gastronomiche – dalla ritualità conviviale francese al Washoku giapponese. E nel 2010, l’Unesco aveva iscritto nella Lista del Patrimonio Immateriale la “cocina tradicional mexicana, cultura comunitaria, ancestral y viva“, con particolare riferimento alla tradizione gastronomica della regione di Michoacán.

Ma ora il Comitato intergovernativo Unesco, riunito a Nuova Delhi, ha inserito l’insieme della cucina italiana nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Un primato che dice molto del peso internazionale della nostra identità alimentare, così come della capacità dell’Italia di presentare un dossier – necessario per la candidatura – rigoroso, coeso e convincente.

Un patrimonio vivo

Promossa dal ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e dal ministero della Cultura, la candidatura si fondava su un’idea: descrivere la cucina italiana come pratica sociale. Nel dossier, approvato con un primo parere positivo già il 10 novembre, ricorre infatti la definizione di “cucina degli affetti“: un’espressione che riassume una tradizione in cui si intrecciano saperi, ritualità, gesti quotidiani e una pluralità di storie locali.

La forza della candidatura è questa: evitare la tentazione di “musealizzare” la cucina e restituirla invece nella sua natura dinamica, in continua evoluzione. Un modello che riflette il rapporto tra territori, stagioni, comunità e, oggi, anche pratiche di sostenibilità, lotta allo spreco e inclusione sociale. Insomma, la cucina come infrastruttura culturale.

Gli effetti misurabili del titolo

Secondo modelli basati su dati di Banca d’Italia, Unioncamere e Movimprese, l’iscrizione dell’Unesco potrebbe generare tra il +6% e il +8% di presenze turistiche, pari a circa 18 milioni di visite aggiuntive in due anni. Non è un azzardo: ci sono precedenti che mostrano l’effetto moltiplicatore dei patrimoni immateriali.

È il caso della “vite ad alberello di Pantelleria“, iscritta nel 2014 tra i patrimoni immateriali: dopo il riconoscimento, le aziende agrituristiche locali hanno registrato una crescita media annua del 24,7%, con un aumento complessivo del 500% in dieci anni. Il titolo Unesco ha trasformato una tradizione agricola in un vero volano turistico e commerciale, rendendo l’isola più visitata anche fuori stagione.

Allo stesso modo, “l’arte dei pizzaiuoli napoletani“, riconosciuta nel 2017, ha avuto un impatto diretto sulla formazione e sull’export della tradizione: i corsi professionali sono aumentati del 284%, mentre le scuole di pizza accreditate all’estero sono passate da 5 a 26. In entrambi i casi, il riconoscimento Unesco non ha valorizzato solo la cultura, ma ha creato opportunità economiche concrete e sostenibili per i territori coinvolti.

Un lungo percorso

La cucina come elemento identitario diventa, così, anche un asset economico. La candidatura Unesco è stata sostenuta da una campagna nazionale che ha coinvolto territori, associazioni, scuole di cucina, istituzioni e comunità. L’obiettivo era mostrare ciò che la cucina rappresenta per il Paese: un linguaggio condiviso prima ancora che un settore produttivo.

Il risultato finale è una cornice che riconosce ufficialmente ciò che in Italia è evidente da sempre: la cucina è un luogo in cui la modernità non cancella la tradizione ma la rinnova.

Con l’ingresso nella Lista Unesco, la cucina italiana diventa la prima al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza come patrimonio immateriale. È un titolo che impegna, perché chiede di tutelare una ricchezza che va nutrita e raccontata. Un’eredità che si coltiva e tramanda ogni giorno, da colazione a cena.

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