29.02.2024
È Pachamama: animali, piante e altri aspetti inanimati dell’ordine naturale circostante costituiscono un’entità giuridica che ha i propri diritti. Quali sono i Paesi che hanno deciso di dare questa facoltà alla natura, e quale sarà l’evoluzione della Carta della Terra che prese avvio nell’ambito delle Nazioni Unite?
In tema di tutela dell’ambiente è utile osservare con attenzione le principali evidenze che emergono dal diritto pubblico comparato. Conoscenze utili a lasciarsi trasportare e consigliare dalla visione dei popoli che avvertono la natura come parte integrante del loro “essere”. Le credenze ancestrali che contraddistinguono alcune popolazioni dell’America Latina fanno sì che essa rappresenti lo spazio proprio, avvolgente, necessario, per quello che in spagnolo è conosciuto come “buen vivir”. A testimonianza di questa integrità del sentire vi è un primato che, dal punto di vista giuridico, spetta a Paesi come Ecuador e Bolivia. Paesi dove non è facile recarsi e viaggiare, a causa della criminalità diffusa, ma che hanno aperto la strada, da un punto di vista giuridico, ad un nuovo modo di guardare all’insieme degli elementi che compongono il nostro habitat.
La particolarità della legiferazione in materia, grazie alla Costituzione approvata in Ecuador nel 2008 con il 64% dei voti a favore, consiste nell’assegnazione della personalità giuridica alla natura, conosciuta come Pachamama. Animali, piante e altri aspetti inanimati dell’ordine naturale circostante, costituiscono un’entità giuridica con i suoi diritti. Tra questi, il mantenimento, la rigenerazione, il ripristino di cicli vitali, di strutture e funzioni. A prevederlo è il settimo capitolo della Costituzione, unico documento al mondo a proporre il ribaltamento della visione antropocentrica, intitolato “Diritti della natura”. Il preambolo evidenzia l’intento di «costruire una nuova forma di convivenza pubblica, nella diversità e in armonia con la natura, per realizzare il buon modo di vivere». Anche in Bolivia, se pur non a un livello costituzionale, le riforme compiute negli anni passati possono essere intese come le fondamenta di un processo che enfatizza il riconoscimento dei diritti ambientali e indigeni, con ripercussioni logiche su quelli umani. Questi strumenti normativi ampliano il nostro sguardo verso contesti considerati “esotici”, ma forse più che mai vicini nell’ottica di una sostenibilità non procrastinabile, e pongono quesiti che necessitano di risposte.
C’è da chiedersi quali nuove istituzioni possano rendere operativo questo riconoscimento e quali “conflitti” esso stia determinando in ambito internazionale per lo sfruttamento delle risorse (come quelli già occorsi a causa di una riserva petrolifera situata nell’area amazzonica dell’Ecuador), se si adegueranno altri Paesi, quale sarà l’evoluzione della Carta della Terra che prese avvio nell’ambito delle Nazioni Unite e quali i diversi campi di sapere diverranno necessari. Interessante sarebbe anche avvertire l’impulso che ha inteso animare i nuovi “precetti”. Un intuito che non parrebbe distare troppo, se pur nelle differenti personalità e manifestazioni del divino, da quello che invita ogni giorno i francescani di tutto il mondo a elevarsi a “creatura nuova” tra le meraviglie di un “Creato” troppo spesso sfruttato e incompreso.