3 Dicembre 2024
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Cultura, Società

La nostra indole instancabile di giocare con la lingua

31.03.2024

L’Italiano si presta e gli italiani si divertono a stuzzicare le potenzialità della propria lingua. L’Osservatorio della Lingua Italiana Treccani tasta il polso ai cambiamenti linguistici, sempre più legati a un’accelerazione sociale scompigliante. Che vita fanno i nostri neologismi?

Ci soccorre Totò con i suoi deragliamenti di senso. Da vigile: «Io la circolazione ce l’ho nel sangue».  Si sa, apparteniamo ad una genìa linguistica di fervidi creativi. Con le parole ci piace giocare, tanto che l’Osservatorio della Lingua Italiana Treccani tasta il polso ai cambiamenti linguistici sempre più legati a un’accelerazione sociale (usi e costumi) scompigliante. La nascita di parole nuove ha il carattere dell’imprevedibilità, senza calcoli logici, ma con quel sottile filo che lega la molteplicità della visione del mondo alla neolingua, in grado di influenzare (se non manipolare) la percezione stessa della realtà. Ed i neologismi s’infiltrano nel contesto sociale traendone spunto, secondo dinamiche ignote. Agganciate però al momento storico. Il DPN (Dizionario di Parole Nuove, 1969), rifletteva una lingua d’uso sempre più stratificata tra un’élite politica e giornalistica, impigliata in un lessico intellettuale criptico, dominato dai neologismi derivati, con l’abuso del suffisso in -azione, -izzazione, come “gambizzazione”, o formule del sinistrese (“portare avanti un discorso”, “nella misura in cui”), per aprirsi, poi, al mondo anglo-americano con prestiti dalla moda (“casual”), dalla pubblicità e dai costumi (“jukebox”, “blue-jeans”, “cocktail”, “shakerare”, ecc.) e spruzzate di monosillabi (“mix”, “soft”, “in”, “grill”). Dopo la stagione politicizzata del terrorismo, il “riflusso nel privato” dei successivi anni ’80 darà vita all’ “edonismo reaganiano”, al “rampantismo”,  al “craxismo”, allorquando la politica si sfrangiava in “pentapartito” e all’estero la caduta del Muro era preceduta da “perestrojka” e “glasnos”’ di Gorbachev, mentre nella “Milano da bere” impazzavano i “paninari”. Guardato inizialmente con sospetto (siamo tutti dantisti ad honorem!), il nuovo lessico può essere invenzione di un singolo, poi accolto dalla massa dei parlanti, oppure frutto insospettato di apporti dall’esterno (i cosiddetti prestiti: “flat tax”, “movida”, “brexit”), o rimaneggiamenti su base socio-ambientale-giuslavoristica-politica (“olgettina”, “influencer”, “riscaldamento globale”, “morti bianche”, “smart working”, “due forni”, “celodurismo”, “eurotecnocrate”, “grillino”), o ancora lasciti dei meccanismi di derivazione (“spoilerare”, “debuggare”) e di composizione (“angolo cottura”, “apericena”, “scudo fiscale”), compresa la conflittualità verbale fuori e dentro le aule parlamentari: “macchina del fango”, “inciuci”, “ribaltoni”. Fino all’utilizzo in politica del linguaggio dello sport, con la berlusconiana “discesa in campo”, relegando i prodigiosi “rombo-di-tuono-Riva” e “abatino-Rivera” di Gianni Brera, nell’angolo (corner?) di un bar di provincia avvezzo alle dispute calcistiche: “libero” (difensore senza obblighi di marcatura), “melina (dal bolognese “zug da mléina”), “pretatticaW” (fase iniziale della manovra), “goleador” (ispanismo, il toreador), “manfrina2 (perdita di tempo, da un ballo del Monferrato), ed il recente “sarrismo” (vedi allenatore). Messo da parte il guizzo di un bambino e il suo “petaloso” (dai molti petali), ormai la Rete, con il montante gergalismo criptico ha incentivato la creatività mediata del computer, e photoshoppare, googlare, whatsappare, instagrammare, twittare, taggare, dilagano (tra i giovani). E chi boicotta volontariamente le discussioni altrui è un “troll”.

Con il gossip che avanza: chissà se il neologismo ‘Ferragnez’ (Treccani 2018), subirà, linguisticamente, la stessa crisi della famosa coppia. La notorietà effimera legata a una moda si usura insieme alla lingua: non sono ammesse deroghe. C’est la vie: francesismo (in prestito).

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