28.04.2024
Si avverte la necessità di riconoscere una nuova fase geologica. L’uomo, di fatto, per la prima volta influenza i sistemi climatici, biologici, biomorfologici. Intervista al geologo Emilio Padoa-Schioppa.
Un organo della Commissione Internazionale di Stratigrafia ha stabilito che l’epoca in cui viviamo non è ancora l’Antropocene, ma resta l’Olocene. Con Antropocene si intende un’epoca geologica in cui l’ambiente terrestre è fortemente influenzato dall’azione umana: ne parliamo insieme al Prof. Emilio Padoa-Schioppa, docente di Ecologia del paesaggio presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e autore dei saggi “Antropocene” (2021) e “Storia ecologica dell’Europa. Un continente nell’Antropocene” (2022).
Storicamente, quando il concetto di Antropocene inizia ad affermarsi?
«È un termine che propone veramente con forza Paul Crutzer nel 1999, quando, in occasione di un congresso scientifico, fa notare che l’Uomo è in una fase completamente nuova, che dovrebbe chiamarsi Antropocene. Crutzen era all’epoca uno degli scienziati più influenti al mondo, aveva vinto da pochi anni il Nobel per la chimica, quindi, ha una grande autorità e questa parola la dice al momento giusto, perché alla stessa conclusione, in quel momento, erano arrivati anche altri studiosi. In quel periodo lo storico John McNeill pubblica Qualcosa di nuovo sotto il sole, quel qualcosa di nuovo è l’Uomo che per la prima volta influenza i sistemi climatici, biologici, biomorfologici. Questa è l’idea che ha e che è già dentro la parola antropocene, però non era un concetto nuovo. Informalmente ne aveva già parlato un biologo americano negli anni ‘80, infatti, poi Crutzer pubblicherà con lui una lettera, avvertendo della necessità di riconoscere una fase geologica nuova. L’idea di fondo l’aveva già avuta, nell’800, il geologo italiano Stoppani, che parla di “fase antropozoica”, o, per esempio, lo studioso russo Vernadsky, che parla di “noosfera”. Anche se l’idea non era nuovissima, sicuramente Crutzer lo dice con autorità enorme e da quel momento comincia un ampio dibattito. Da un po’ di anni sembra convergente l’idea che l’Antropocene sia un’epoca geologica che seguirebbe quella dell’Olocene, anche se alcuni hanno l’idea che forse bisognerebbe cancellare l’Olocene e passare direttamente dalla Pleistocene all’Antropocene».
In che modo si può dire di essere passati da un’epoca all’altra?
«Per stabilire il passaggio da un’epoca a un’altra è necessario individuare un segnale stratigrafico chiaro, univoco, contemporaneo e che possa rimanere per molto tempo. Circa la transizione tra Pleistocene e Olocene il limite è definito sulla base del decadimento di un isotopo del carbonio. In merito alla discussione sull’Antropocene, non si è riusciti a raggiungere una convergenza. Sostanzialmente, non è stato possibile trovare un segnale stratigrafico preciso, tale da far dire a chi lo vede che da questo punto in avanti è Antropocene. Tuttavia, è importante dirlo, la stessa Commissione ha detto che siamo comunque in una nuova fase».
Cosa vuol dire vivere in questa nuova epoca e qual è il rapporto tra l’Uomo e l’ambiente?
«Accettiamo quello che dicono gli stratigrafi, ossia che siamo in una fase della storia in cui l’Uomo modifica tutti gli equilibri del sistema Terra e lo fa con una portata globale. Quello di cui parliamo più spesso è la crisi climatica, ma, per esempio, un altro aspetto è il fatto che stiamo innescando una crisi di biodiversità, quindi una serie di estinzioni di massa (esseri animali, vegetali, funghi, batteri), con una velocità molto superiore ai normali assi. Oggi siamo di fronte a una scomparsa stimata tra le 11 e le 50 mila specie all’anno, ma bisogna tener presente che non è semplice dire se una specie è veramente scomparsa. Inoltre, probabilmente non conosciamo gran parte delle specie che esistono sulla Terra: ne abbiamo descritte intorno ai 2 milioni, ma potrebbero essercene molte di più. Conoscere la biodiversità è una delle nostre missioni, per poter conoscere il mondo attorno a noi».