È passato un anno, ma a Benetússer, nell’area metropolitana di Valencia, sembra che il tempo si sia fermato. Il 29 ottobre 2024 una Dana, una “depressione isolata ad alta quota”, travolse la costa orientale della Spagna con una forza che la scienza aveva annunciato, ma che la politica non seppe ascoltare. In poche ore, torrenti di fango e pioggia inghiottirono strade, case, vite. Morirono oltre 220 persone, la peggiore catastrofe meteorologica in Spagna degli ultimi cinquant’anni.
Tra loro, il marito e la figlia di Toñi García. Lei, sopravvissuta, oggi è la voce di chi non vuole dimenticare. “Non sono morti a causa della pioggia, ma per una gestione negligente”, ha dichiarato a Euronews. La sua casa, quella stessa notte, si riempì d’acqua fino a due metri. “Pensavamo fosse un tubo rotto. Mio marito e mia figlia sono scesi nel garage. Non li ho più rivisti”.
La tragedia aggravata dall’errore umano
Gli avvisi di emergenza in molte località furono emessi con oltre un’ora di ritardo. Quando arrivarono, l’acqua aveva già distrutto tutto. Più di 40.000 persone furono colpite, centinaia di abitazioni rese inabitabili, migliaia di auto trascinate via. Gli esperti concordano: la mancanza di coordinamento istituzionale e la sottovalutazione del rischio amplificarono gli effetti del disastro.
García e le altre vittime accusano direttamente la Generalitat Valenciana, guidata da Carlos Mazón, il politico del Partito Popolare Valenciano che ha scelto l’alleanza a destra e ha tagliato i fondi per le misure di difesa climatica, di aver ignorato gli allarmi “per non turbare il turismo”. “L’assessore alle Emergenze – ha ricordato García – ha ammesso davanti al giudice di non conoscere la legge che regola le emergenze”. Le indagini giudiziarie, tuttora in corso, ipotizzano negligenza da parte di diversi funzionari regionali.
Ma al dolore si è aggiunta la solitudine. Nei mesi successivi al disastro, l’assistenza psicologica fu pressoché assente. “Ho avuto dieci minuti con uno psicologo quando hanno trovato mio marito”, racconta Toñi. Solo dopo l’intervento del governo centrale furono attivati servizi di supporto mentale, in collaborazione con il Collegio degli psicologi. “Ora siamo seguiti, ma a ottobre e novembre eravamo completamente soli”.
Il 29 ottobre 2025, a un anno esatto dalla tragedia, le vittime parteciperanno a un funerale di Stato. Ma non basta. “Non chiediamo soldi, chiediamo dignità. Vogliamo verità, perdono e giustizia”.
Dalla Spagna a Bruxelles: la ricerca di ascolto e verità
Per cercare ascolto, un gruppo di familiari si è recato a Bruxelles, dove ha incontrato rappresentanti della Commissione europea, compresa Ursula von der Leyen. “A Bruxelles ci hanno ascoltato. Non potevano credere che, con 229 morti sulle spalle, nessuno si fosse ancora assunto la responsabilità”, ha raccontato García a Euronews. Da lì è arrivata anche la promessa di monitorare l’uso dei fondi europei destinati alla ricostruzione.
Nonostante il sostegno del governo centrale e della ministra per la Transizione Ecologica Sara Aagesen – che “ebbe la cortesia di incontrarci e spiegarci i piani di ricostruzione” – il governo regionale, denuncia García, “non si è mai scusato, né ci ha mai guardato in faccia”.
Un anno dopo, la paura resta. Ogni pioggia riapre la ferita. “Quando sento la pioggia sul tetto, tremo”, dice la donna. Ma la recente Dana del settembre 2025 ha mostrato che la lezione, forse, qualcosa ha lasciato: le autorità hanno agito in anticipo, chiudendo scuole e riducendo la mobilità. Non ci sono state vittime.
“Questo dimostra che quando si agisce in modo responsabile, le vite vengono salvate”, afferma Toñi García. La sua battaglia, oggi, è la memoria: “Non vogliamo vendetta. Vogliamo che nessun’altra famiglia debba passare ciò che abbiamo vissuto noi”.
Per la Spagna, quella del 29 ottobre resta una ferita aperta. Per le vittime, un lutto sospeso tra la pioggia e la giustizia.
