2 Dicembre 2025
/ 2.12.2025

L’Italia non crede al futuro

Alla Giornata Mondiale dei Futuri dell’Unesco ASviS presenta un quadro della situazione allarmante.L’indagine dell’Istituto Piepoli mostra un Paese che non si fida del proprio futuro collettivo: il 46% è pessimista sulla direzione che prenderà l’Italia nei prossimi dieci anni, mentre solo il 22% immagina un miglioramento

Quasi la metà degli italiani (46%) è pessimista sulla direzione che prenderà il Paese nei prossimi dieci anni, mentre solo poco più di uno su cinque (22%) immagina un miglioramento. È un pessimismo che convive con un altro paradosso: la maggioranza degli intervistati dice di pensare spesso al futuro, ma continua a vivere con la testa nel presente, una sorta di ancoraggio psicologico che frena ogni slancio. È il quadro che emerge dall’indagine dell’Istituto Piepoli presentata da Asvis alla Giornata Mondiale dei Futuri dell’Unesco, celebrata all’Ara Pacis.

Il risultato è un’Italia in tensione, dove le persone vedono prospettive positive per la propria vita personale ma non riconoscono al Paese la stessa capacità di avanzare. Il costo della vita, le diseguaglianze, l’intelligenza artificiale e la crisi climatica occupano i primi posti tra le preoccupazioni, mentre la fiducia si concentra più nella scienza che nelle istituzioni o nei media.

Nessuno si occupa del futuro

Il direttore scientifico di ASviS, Enrico Giovannini, ha riassunto così l’umore del Paese: “Come mostrato dall’indagine, gli italiani chiedono futuro, ma la gran parte di loro ritiene che nessuno se ne stia occupando seriamente, tanto meno i politici”. È una constatazione che intercetta una sfiducia profonda verso la capacità della politica di guardare lontano, un problema che non riguarda solo il governo ma l’intero sistema di decisione pubblica.

Questa disillusione alimenta anche una crescente domanda di giustizia intergenerazionale, con molti italiani favorevoli a strumenti in grado di proteggere i giovani di oggi e di domani: da una legge sul clima a misure di riequilibrio fiscale.

In questo scenario si inserisce Ecosistema Futuro, la piattaforma lanciata da ASviS per dare continuità e struttura alle politiche orientate al lungo periodo. Perché per organizzare il futuro servono strumenti, luoghi, competenze e processi che in Italia sono rimasti troppo a lungo ai margini.Il progetto si articola su più piani.

La prima direttrice riguarda la scuola e l’università. L’obiettivo è introdurre nel sistema educativo quella che l’Unesco chiama “futures literacy”, la capacità di immaginare scenari diversi, distinguere futuri possibili, probabili e desiderabili, e prendere decisioni informate in un mondo incerto. È un lavoro che non vuole insegnare a prevedere, ma a ragionare in modo più aperto, critico e consapevole.

Valutazione d’Impatto Generazionale

Sul fronte politico, ecosistema Futuro valorizza una novità normativa importante: l’obbligo di valutare l’impatto delle leggi sulle future generazioni. È un passo concreto verso una governance che non si limiti a gestire il presente, ma si assuma la responsabilità di ciò che verrà.

L’iniziativa ha portato anche alla nascita del Network dei Musei dei Futuri, oltre 40 istituzioni culturali che nel 2026 inizieranno a dedicare spazi e attività ai “futuri possibili”. L’ambizione è trasformare musei e luoghi della cultura in piattaforme aperte di immaginazione civica, capaci di mescolare narrazioni, scienza, arte e partecipazione. E costruire un vero e proprio Museo dei Futuri italiano, fisico e digitale.

C’è poi la dimensione partecipativa. Nei prossimi due anni prenderà forma la prima Assemblea Nazionale sul Futuro, che riunirà soprattutto giovani. Una risposta all’esigenza diffusa di creare spazi in cui discutere non solo di ciò che accade, ma di ciò che potrebbe accadere.

Un Paese che ha disimparato a immaginare

Il dato più interessante dell’intero “Barometro del Futuro” forse non è la mancanza di ottimismo, ma la mancanza di una visione condivisa. La maggior parte degli italiani pensa che nessuno stia lavorando seriamente al futuro del Paese.

Ecosistema Futuro prova a intervenire rimettendo al centro la capacità di immaginare, progettare e discutere i futuri possibili. Non un futuro lineare, inevitabile, ma un insieme di alternative. Perché quando il futuro appare come una destinazione già scritta genera paura; quando appare come un territorio aperto, diventa un motore di creatività e responsabilità.

L’Italia che emerge dall’indagine è un Paese che non ha smesso di pensare al futuro, ma ha smesso di crederci. Un Paese dinamico nelle aspirazioni personali e immobile nella percezione del proprio destino collettivo.

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