Preoccupazione perché il cammino da fare è ancora lungo. Sono queste le principali reazioni del mondo associativo e politico alle conclusioni della Cop16 bis di Roma.
In particolare Marevivo ha sottolineato le lacune che ancora si registrano nella difesa degli oceani: “Dalle parole occorre passare ai fatti, soprattutto per tutelare quel bene inestimabile che è il nostro mare, ancora così poco conosciuto. Non dobbiamo dimenticare che gli oceani sono la principale fonte di biodiversità del Pianeta”.
L’impegno riconfermato dalla Cop16 è quello di portare al 30% della superficie totale le aree marine protette da qui al 2030: quasi quattro volte tanto l’attuale percentuale dell’8%. Come potrà essere realizzato questo obiettivo? A Roma si è trovato l’accordo sulle risorse necessarie per fermare, in terra e in mare, la perdita di biodiversità: 200 miliardi di dollari l’anno da qui al 2030 di cui 30 forniti dai Paesi ad alto reddito a quelli a basso reddito (il doppio rispetto all’impegno attuale).
“Ma questa cifra rischia di rimanere sulla carta: come verrà finanziato il fondo e da chi, con quali risorse e da chi verrà gestito?”, si chiede l’associazione ambientalista. “Su questo l’accordo, pur importante raggiunto ieri alla Fao, non dà sufficienti garanzie di efficacia. A gestire le risorse sarà sempre il Global Environment Facility (Gef), il fondo legato alla Banca Mondiale che in questi decenni ha mostrato numerose incertezze nella spesa e ha destato contestazioni sulla reale destinazione dei fondi a favore della natura. I fondi che dovrebbero provenire dagli accordi sullo sfruttamento delle risorse genetiche da parte delle aziende private restano ancora in un limbo: si tratta di un impegno volontario da parte del settore privato, al momento non prevedibile”.
Per Rosalba Giugni, presidente della Fondazione Marevivo, la Cop di Roma ha permesso di realizzare un importante obiettivo politico: si è evitato il funerale del multilateralismo e il fallimento della diplomazia ambientale, in un momento in cui sembra che esista un ‘nuovo ordine mondiale’, che ragiona in termini di sovranità assoluta e decisioni unilaterali.
“Ma nel merito delle decisioni prese”, continua Rosalba Giugni, “il risultato è ancora troppo vago. Il ritmo di perdita della biodiversità marina è altissimo, anche se lo misuriamo solo sulle specie già note: forse non è chiaro né ai governi, né al settore privato, ma si calcola che un milione di specie marine e terrestri sia complessivamente a rischio di sopravvivenza. E questo non è solo un argomento che interessa gli appassionati di natura: senza la biodiversità, così come noi la conosciamo, sono a rischio l’alimentazione e l’equilibrio climatico mondiale. Chiediamo ai governi, e prima di tutti a quello italiano, di impegnarsi perché i 200 miliardi di dollari l’anno non siano solo una cifra scritta sulla carta e soprattutto che vengano spesi in favore di natura”.
Se la conservazione della natura è «la più importante missione dell’umanità nel XXI secolo», come ha dichiarato nel suo discorso di apertura la presidente della COP 16, Susana Muhamad, allora il diktat è “agire ora” e prendere decisioni concrete per tutelare la biodiversità e di conseguenza la sopravvivenza stessa dell’uomo sul Pianeta.