Rinviare, sminuire i problemi, negare le conseguenze, strizzare l’occhio ai negazionisti ma senza esagerare. Se sulla questione ambientale lo stile di Trump è il wrestling, quello del governo Meloni è il balletto. Un passo avanti, un passo indietro, uno di lato, senza schiodarsi dalla mattonella. Però questa mattonella comincia a infuocarsi e i problemi non affrontati mettono a rischio le imprese oltre che le persone.
L’ultimo rinvio è sui diesel Euro 5. Un rinvio contro il mercato perché il mercato dell’auto da anni ha scelto l’elettrico per ragioni che ormai dovrebbero essere note. Primo. Gli standard di protezione della salute e del clima diventano sempre più severi e, da un certo livello in poi, la scelta dell’elettricità è la soluzione che offre maggiori garanzie ai costruttori. Che infatti ormai continuano a sfornare a ritmo continuo modelli elettrici (produrne uno costa una fortuna e le case automobilistiche non intendono buttare via gli investimenti per un balletto).
Secondo. Il peso delle fonti rinnovabili continua a crescere anno per anno. Più del 90% della nuova potenza elettrica installata nel 2024 nel mondo è basato sulle rinnovabili. Il che vuol dire che la disponibilità di energia pulita cresce (niente ha un impatto ambientale zero, ma i problemi estrattivi legati al ciclo delle rinnovabili sono risolvibili, la crisi climatica non affrontata no).
Terzo. È la Cina a guidare le danze. Non perché sia il Paese economicamente più forte (è il numero 2), ma perché ha maggiore capacità politica e di visione industriale. Ha scelto la strada dei nuovi bisogni e la persegue con costanza puntando sulle rinnovabili e sulle auto elettriche mentre i concorrenti si esercitano nel wrestling o nel balletto. In un mondo che si surriscalda mettendo a rischio la vivibilità di intere aree geografiche, la necessità di offrire una soluzione cresce anno dopo anno. E opporsi al mercato non porta bene. Le difficoltà di Stellantis e la prospettiva di rimediare puntando su auto piccole e ibride invece che su colossi fossili dimostrano che andare controvento rallenta.
Molti rischi
In questo quadro è arrivata la decisione del governo Meloni di rinviare di un anno il blocco della circolazione per i diesel Euro 5. Invece del primo ottobre 2025, la stretta scatterà il primo ottobre 2026 e non riguarderà più i Comuni con oltre 30 mila abitanti, ma solo quelli sopra i 100 mila. Il rinvio è stato approvato con un emendamento al decreto Infrastrutture in discussione alla Camera, che riceverà il voto di fiducia nei prossimi giorni. L’emendamento, caldeggiato dalla Lega e accolto con favore da gran parte del centrodestra, è stato salutato dal ministro Salvini come “una scelta di buon senso”. Più diplomatico il collega dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, che ha parlato di “una norma che consente di conciliare la tutela dell’ambiente con l’attenzione verso i cittadini”.
Il nodo è sempre lo stesso: come coniugare l’esigenza di difendere la salute e l’ambiente difendendo la qualità dell’aria con la realtà economica e sociale di un Paese in cui ancora milioni di persone usano auto vecchie per necessità più che per scelta. È chiaro che entrambi gli aspetti vanno considerati. Il punto è in quale direzione agire. Si possono spostare risorse dai settori più inquinanti a quelli meno inquinanti garantendo il rafforzamento del servizio di trasporto pubblico, un passaggio morbido e la protezione delle fasce sociali più deboli che in questo modo verrebbero tutelate sia sotto il profilo economico che sotto il profilo sanitario. Oppure si può fare una scelta ideologica che aiuta a prendere voti ma danneggia tutti: sposare il vecchio modello industriale ad alto impatto sanitario e ambientale, proporlo come l’unico possibile e dire che l’alternativa è l’impoverimento complessivo. In questo modo si alimenta la paura e si ottiene un certo consenso, ma si indeboliscono le strutture produttive del Paese perché si penalizza l’innovazione.
Il rinvio scelto dal governo è rischioso. Tra l’altro offre margine alle Regioni per decidere di non applicare del tutto il blocco, adottando nei propri piani ambientali misure alternative che garantiscano una riduzione equivalente delle emissioni. Una clausola che apre la porta a un’applicazione “a geometria variabile”, lasciando intendere che ulteriori rinvii o esenzioni locali sono più che possibili.
Un costo pesante
In questo contesto le difficoltà crescono. L’Italia è già nel mirino della Commissione europea per gli sforamenti cronici dei limiti di qualità dell’aria. Senza misure efficaci, la procedura d’infrazione avviata da Bruxelles potrebbe aggravarsi, con multe milionarie che ricadrebbero sull’intera collettività.
E potrebbe aggravarsi anche la situazione di molti italiani. Il bacino padano è un’area chiusa tra le montagne, con le condizioni meteorologiche e orografiche che rendono difficile il ricambio d’aria. Un’area che ospita alcune delle città più inquinate d’Europa e dove i veicoli diesel continuano a rappresentare una quota rilevante del traffico urbano.
Inoltre il rinvio deciso dal governo avviene mentre l’Unione europea rafforza i propri obiettivi di decarbonizzazione del trasporto su strada. Entro il 2030 le emissioni delle auto dovranno calare del 55% e quelle dei furgoni del 50% rispetto ai livelli del 2021, con l’obiettivo finale di vendere solo veicoli a zero emissioni entro il 2035.
Aver rimandato, ridimensionato e in parte reso facoltativo il blocco dei diesel Euro 5 potrà essere considerato dal governo una vittoria politica. Ma contribuirà ad aumentare il numero delle vittime dell’inquinamento dell’aria (circa 50 mila morti in Italia all’anno). Rallenterà la transizione ecologica in Italia dando spazio alla crisi climatica che, come abbiamo visto in questi giorni, penalizza soprattutto i più deboli. Renderà più difficile per le imprese competere nei nuovi mercati.