03.11.2024
Viviamo un ambiente in continua evoluzione in cui la natura seleziona i più forti. I germi sopravvissuti alla continua igienizzazione nelle grandi metropoli sono mutati, sviluppando immunità finora sconosciute. Dagli agenti impiegati per eliminarli hanno anche imparato a trarre nutrimento. Quali conseguenze.
Quello dell’igiene e della disinfezione è un tema che negli ultimi anni è sempre più sentito, in particolare dopo il Covid-19. Durante la pandemia tutti abbiamo preso l’abitudine di lavarsi e disinfettarsi le mani quanto più spesso possibile, per eliminare virus e batteri con i quali possiamo eventualmente essere venuti a contatto. Ma i microbi non si lasciano sterminare tanto facilmente e del resto, come ha detto Charles Darwin: «Non è la specie più forte o più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento». E loro lo hanno fatto.
Uno studio pubblicato sulla rivista Microbiome, guidato da Università cinese di Xi’an Jiaotong-Liverpool e Università della Città di Hong Kong ha scoperto che i microrganismi che vivono nelle città stanno diventando resistenti ai disinfettanti comunemente utilizzati per ucciderli. Anzi: dagli agenti impiegati per eliminarli loro hanno anche imparato a trarre nutrimento. In pratica, più noi ci andiamo pesanti con disinfettanti e antibatterici, più loro sono in grado di mutare per adattarsi al cambiamento e continuare a proliferare. Saper reagire ai cambiamenti ambientali è infatti la caratteristica che permette ai microrganismi di sopravvivere in un ambiente in continua evoluzione.
La ricerca si è basata su 738 campioni collezionati in case, metropolitane, aree pubbliche, porti e anche pelle degli abitanti di Hong Kong. I campioni sono poi stati analizzati in laboratorio per studiare il contenuto genomico dei microbi e il modo in cui si sono adattati al contesto urbano nel corso degli anni. Dallo studio di quanto raccolto sono risultate alcune scoperte molto interessanti. La prima è l’identificazione di 363 nuovi ceppi di microbi. La seconda, che diversi ceppi contengano geni specifici che gli permettono di metabolizzare i prodotti disinfettanti. Inoltre, dall’analisi è emersa anche la presenza di ceppi che finora erano stati trovati soltanto nel suolo dell’Antartide, e che possono metabolizzare alcol e altri composti presenti normalmente nei prodotti per la pulizia.
«L’uso di prodotti per la pulizia e di altri agenti crea un ambiente unico che esercita pressioni selettive sui microbi», hanno spiegato i ricercatori. In pratica le pressioni esercitate dall’ambiente possono portare a due esiti per i microbi: o si adattano per sopravvivere o vengono eliminati. «Quei microrganismi che hanno la capacità di utilizzare risorse limitate e di tollerare prodotti come i disinfettanti sopravvivono e si diffondono molto meglio di quelli non resistenti negli ambienti di città», hanno proseguito. Una situazione per ora non allarmante, ma da non sottovalutare: «Potrebbero quindi comportare rischi per la salute in caso si tratti di batteri patogeni un problema particolarmente critico negli ospedali» hanno specificato. La speranza è quella di riuscire a creare un ecosistema microbiotico cittadino, che garantisca la convivenza pacifica di microbi e umani.