7 Luglio 2025
/ 7.07.2025

Nasce il mercato europeo del “credito naturale”

È una scommessa sull’ambiente che punta ad arrivare a un gettito di 65 miliardi di euro l’anno. Il meccanismo è simile a quello dei crediti di carbonio. Ne potranno beneficiare anche agricoltori che aiutano la natura invece di penalizzarla

La Commissione europea ha tracciato la rotta per un nuovo mercato, i “crediti naturali”. Una scommessa pensata per attirare capitali privati e affrontare uno dei problemi più gravi, e più sottovalutati, che abbiamo di fronte: la perdita di biodiversità. Secondo le stime, servono almeno 65 miliardi di euro all’anno per colmare il divario tra ciò che oggi si investe per la tutela degli ecosistemi e ciò che sarebbe necessario per fermare l’emorragia di specie e habitat. La tabella di marcia presentata a Bruxelles punta a colmare parte di quel gap, gettando le basi di un sistema volontario in cui la natura venga finalmente riconosciuta come un “valore economico misurabile” e protetta anche attraverso strumenti di mercato.

Attraverso questo meccanismo agricoltori, forestali, enti locali, soggetti privati che realizzano interventi di ripristino ambientale potranno ottenere crediti — certificati e validati da un sistema condiviso — da vendere a soggetti pubblici o privati interessati a sostenere, compensare o integrare i propri impatti ambientali. Un meccanismo simile a quello dei crediti di carbonio, ma con una differenza sostanziale: non si misura solo la CO₂, ma il beneficio complessivo per la natura. Il che vuol dire che l’impresa è molto più complessa e che le difficoltà di calcolo sono maggiori, ma anche che la posta in gioco sale. Torbiere ripristinate, foreste rigenerate, pratiche agricole sostenibili, agroforestazione: saranno alcuni degli interventi che si potranno candidare a generare i nuovi crediti.

Si procederà per gradi. Entro settembre verrà istituito un gruppo di esperti — provenienti da istituzioni, mondo scientifico e società civile — con il compito di definire i criteri tecnici, le metodologie di valutazione e i meccanismi di governance. Nel 2026 è previsto l’avvio di un sistema di certificazione agricola e forestale capace di garantire che le tecniche scelte diano benefici anche in termini di clima e protezione della biodiversità. Nel 2027 dovrebbe vedere la luce il primo progetto pilota europeo. 

Alcuni Paesi, tra cui Francia, Finlandia, Irlanda e Italia, hanno già mosso i primi passi sul fronte nazionale. In particolare, l’Italia ha mostrato interesse per soluzioni legate all’agricoltura rigenerativa e alla gestione sostenibile delle foreste. L’obiettivo è duplice: aiutare chi tutela la natura e offrire un’opportunità di investimento trasparente e misurabile a chi vuole contribuire alla transizione ecologica.

A presentare l’iniziativa è stata la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, nel corso della conferenza DLD Nature di Monaco. In quella sede, ha sottolineato come “la natura non può più essere trattata come un bene gratuito e inesauribile” e ha spiegato che “è ora di costruire un’economia che riconosca il valore reale degli ecosistemi”. Secondo von der Leyen, l’esperienza dell’ETS europeo — il sistema di scambio delle emissioni — dimostra che strumenti di mercato ben progettati possono produrre risultati concreti, anche in ambiti complessi.

A fare da sponda alle parole della presidente è stata la commissaria europea all’Ambiente, la svedese Jessika Roswall: “I crediti naturali non servono a mercificare la natura, ma a riconoscere chi la protegge davvero, dando fiducia ai cittadini e valore agli interventi positivi sul territorio”.

Le critiche, però, non mancano. Alcuni osservatori avvertono che i rischi di greenwashing sono alti se non si definiscono con chiarezza le regole del gioco. Uno dei nodi centrali sarà la misurabilità: a differenza della CO₂, che si calcola in tonnellate, la biodiversità è molto più difficile da quantificare in modo standardizzato. Misurare il valore ecologico di un ecosistema, i benefici per le specie, la qualità dell’habitat o la resilienza degli ambienti naturali richiederà un grande sforzo tecnico e scientifico. La sfida, dunque, sarà costruire uno schema robusto, credibile e verificabile, capace di evitare gli errori che hanno minato la credibilità di alcuni mercati volontari del carbonio.

Ma l’Europa sembra determinata ad andare avanti. La Commissione ha annunciato che il 10% del bilancio dedicato alla biodiversità tra il 2026 e il 2027 sarà investito proprio per promuovere questi strumenti. E ha già avviato interlocuzioni con enti come l’Ocse, l’Unep e la Biodiversity Credit Alliance per armonizzare gli standard e assicurare un coordinamento internazionale.

Alla base c’è un’idea che si sta facendo largo anche nel mondo della finanza: non ci sarà una vera transizione ecologica se non si impara a dare un valore economico alla natura. 

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