16 Maggio 2024
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Cronaca

Omicidio Pecorelli, dall’archivio del giornalista spunta il nome di Gelli. Prosegue l’intervista al figlio

Nella foto Mino Pecorelli, a destra il giornalista con Aldo Moro e Piersanti Mattarella, fratello dell'attuale capo dello Stato, ucciso a Palermo il 6 gennaio 1980.

«Esperti depistatori si mossero subito dopo il delitto per infangare la memoria di mio padre», n’è convinto Andrea, il figlio del giornalista ucciso Mino Pecorelli. Investigatori “fiore all’occhiello” coinvolti, ipotesi che si allargano, la questione si complica, la strage di Bologna nel mirino. L’intervista prosegue.

«Il processo di Perugia è stato orchestrato da chi voleva eliminare dalla scena politica Giulio Andreotti. Che avrà avuto altre responsabilità ma non quella di essere il mandante dell’omicidio di mio padre». Andrea Pecorelli, il figlio di Carmine Pecorelli, il giornalista ucciso a Roma il 20 marzo 1979, è convinto che qualcuno utilizzò l’omicidio del padre per sbarazzarsi di Giulio Andreotti. E che a muoversi furono «le stesse persone in qualche modo coinvolte nell’agguato». Un’ipotesi di depistaggio che fu la stessa procura di Perugia a scoprire. E a sottovalutare. Perché chiese il proscioglimento dei due investigatori considerati i “fiori all’occhiello” del Servizio segreto accusati di aver incontrato in carcere i boss della banda della Magliana, grandi accusatori in quel processo.

«Esperti depistatori che subito dopo il delitto si mossero per infangare la memoria di mio padre indicandolo come ricattatore. Sapevano che solo sporcandone il nome con il collaudato metodo mafioso dell’infamia avrebbero messo a tacere le penne di altri giornalisti onesti. Chi mai avrebbe potuto interessarsi dell’omicidio di un ricattatore? Chi avrebbe avuto il coraggio di cercare e di pubblicare la verità sulla sua morte?”.

Il Tribunale di Perugia col processo di primo grado celebrato contro Giulio Andreotti, Claudio Vitalone, Massimo Carminati e i mafiosi siciliani, ha chiarito che Pecorelli era solo un giornalista. Un giornalista d’inchiesta che pubblicava notizie. A pagina 39 della sentenza emessa il 24 settembre 1999 c’è scritto chiaramente: “Mino Percorelli non era un ricattatore perché la forza del ricattatore è quella di minacciare la pubblicazione di una notizia scabrosa e non quella di pubblicarla ovvero di far conoscere solo ai diretti interessati, vendendola, e non al pubblico, la notizia”.

D’altronde i ricattatori hanno soldi e Mino Pecorelli, stando alle indagini svolte dai magistrati di Perugia, aveva in banca solo 5 milioni di vecchie lire.

«Noi familiari – continua Andrea Pecorelli – non siamo riusciti a rilevare la testata Op (Osservatore politico, il settimanale diretto dal giornalista, ndr) perché coperta di debiti. Mio padre scriveva tutto. E denunciava. Fu lui a pubblicare l’inchiesta Mi.Fo.Biali su un contrabbando di petrolio con la Libia. Furono incastrati dai suoi articoli i vertici della guardia di finanza dell’epoca, indagati solo successivamente dai magistrati. Crede che non avrebbero pagato per farlo tacere? Lo avrebbero fatto anche i cardinali finiti nell’elenco dei massoni rivelato da Op. Mio padre sfidava. E anticipava. Scrisse di Aldo Moro ancora prima della strage di via Fani. Aveva capito quanto la politica italiana fosse influenzata dal volere del Dipartimento di Stato americano e denunciò, prima della strage, l’ostilità statunitense nei confronti della politica di Aldo Moro. Chi, oggi, avrebbe il coraggio di pubblicare le sue inchieste?».

Nel materiale sequestrato in via Tacito, negli uffici di Op, la sera del 20 marzo, ci sono anche diverse audio-cassette, una riporta sulla custodia la scritta a matita: “Licio Gelli – Massoneria Loggia P2”. La registrazione riguarda l’ascesa del Venerabile e le sue losche trame, il suo passato di volontario fascista in Spagna e di ex ufficiale di collegamento dei comandi italo-tedeschi. A denunciare è la voce dell’avvocato Ermenegildo Benedetti, anche lui massone, che nell’intervista indica Gelli come l’organizzatore di un colpo di Stato e parla di documenti che proverebbero il pagamento di sostanziose tangenti. Nella registrazione si parla di “uomini politici, magistrati, alti ufficiali, per un totale di circa 2400 iscritti alla P2”, un elenco di nomi di gran lunga superiore al numero presente nella lista sequestrata a Castiglion Fibocchi, il 17 marzo 1981.

«Mio padre stava scrivendo di Gelli e di stragi. Di piazza Fontana e del Golpe Borghese dove peraltro risulta coinvolto anche Licio Gelli. So che lo avrebbe incontrato il 21 marzo, perché sulla sua agenda c’è traccia di un appuntamento fissato all’hotel Excelsior di Roma». Pecorelli sarà freddato con quattro colpi di pistola il giorno prima.

Fine seconda puntata

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