16 Maggio 2024
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Cronaca

Omicidio Pecorelli, “l’investigazione personale” del figlio Andrea porta ad altre scoperte

A destra Paolo Patrizi, caporedattore di Op, era con il suo direttore Mino Pecorelli (foto a sinistra) la sera in cui il giornalista fu ucciso.

L’INCHIESTA CONTINUA: «Ho bussato alle porte di persone più o meno rispettabili…». Andrea ha vissuto l’omicidio del padre come una missione. Le dichiarazioni di Franco Freda aggiungono un altro tassello alla questione Pecorelli, e chiudono l’ultima puntata della nostra intervista al figlio del giornalista ucciso con quattro colpi di pistola il 20 marzo del 1979.

«Da anni cerco la verità sulla morte di mio padre. Ho bussato alle porte di persone più o meno rispettabili. Anche a quella di Francesco Pazienza. Ho raccolto allusioni, sguardi, ipotesi, mezze frasi (…) che ritrovo nella nuova inchiesta. Non credo alle coincidenze. Mi auguro che, almeno questa volta, ci siano magistrati scrupolosi e capaci. Non posso permettere che l’omicidio di mio padre resti irrisolto».

Con questa terza puntata si conclude la nostra lunga intervista ad Andrea Pecorelli mentre le indagini sull’omicidio del padre, Mino Pecorelli, sono ancora in corso. L’inchiesta è stata riaperta nel febbraio del 2019, dopo una serie di articoli pubblicati da chi scrive e portati in procura dai familiari del giornalista ucciso con quattro colpi di pistola, a Roma, la sera del 20 marzo 1979.

Un’inchiesta che parte da un’intervista realizzata nel carcere di Opera a Vincenzo Vinciguerra, neofascista di Ordine nuovo e Avanguardia Nazionale e finita in un libro “La Strage Continua”, pubblicato da Ponte alle Grazie. Un’inchiesta che porta al movente dell’omicidio, movente individuato, appunto, nelle notizie raccolte da Mino Pecorelli sulle stragi.

«A fine ottobre del ’78, perché poi sono partita per il ponte dei mortiricorda Paola Di Gioia, all’epoca segretaria di redazioneGiovanni Ventura cercò il direttore in ufficio. Arrivò da solo, un paio di volte. Gli incontri durarono diverse ore».

Ma perché Ventura andò da Pecorelli?
«Giovanni cercò il giornalista dopo il mio allontanamento da Catanzaro e prima di lasciare l’Italia e di trasferirsi in Argentina», ci dice Franco Freda, accusato, insieme a Giovanni Ventura, di aver organizzato la strage di Piazza Fontana a Milano. «Parlarono di Piazza Fontana, credo, ma anche di altro. Chi può averlo ucciso? Sicuramente un buon miliziano».

Sappiamo che, tre giorni prima del suo omicidio, Pecorelli andò da Federico Umberto D’Amato, all’epoca a capo dell’ufficio Affari Riservati (l’organismo informativo del Ministero dell’Interno) indicato oggi dalla procura di Bologna fra i mandanti, organizzatori e finanziatori della strage del 2 agosto 1980, insieme a Licio Gelli, Umberto Ortolani e Mario Tedeschi.

D’Amato era iscritto alla loggia P2 e le sentenze su Piazza Fontana accusano il suo ufficio di aver pianificato la falsa pista anarchica. La commissione Anselmi certifica che il prefetto D’Amato aveva “rapporti stretti e costanti con Licio Gelli” e altri personaggi chiave della loggia, come il banchiere Roberto Calvi, che lo frequentò (purtroppo per lui) fino a pochi giorni prima di essere ritrovato cadavere sotto il ponte dei Frati Neri a Londra. Pecorelli si fiondò nell’ufficio di D’Amato. Forse per verificare una notizia.

«Affrontava i suoi interlocutori – ricorda Paolo Patrizi, caporedattore di Op – E il suo ‘sto per pubblicare’ non era un ricatto ma una sfida. A Mino piaceva attaccare i potenti. Pubblicava documenti riservati, compromettenti. Non guardava in faccia nessuno».

Un giornalista che andava dai diretti interessati rivelando cosa avrebbe pubblicato. Che tre giorni prima di essere ucciso incontrò Federico Umberto D’Amato. E che il 21 marzo avrebbe incontrato Licio Gelli, come ci ha ricordato Andrea Pecorelli.

Federico Umberto D’Amato e Licio Gelli, oggi sappiamo, vengono indicati come i mandanti della strage di Bologna. E sappiamo anche che il pm Erminio Amelio, titolare della nuova inchiesta sull’omicidio Pecorelli, ha acquisito agli atti delle sentenze che a Bologna hanno condannato all’ergastolo con l’accusa di concorso in strage l’ex Nar Gilberto Cavallini e l’ex avanguardista Paolo Bellini. In quelle pagine sono, infatti, riportate le dichiarazioni dei primi pentiti dei Nuclei Armati Rivoluzionari che accusano Valerio Fioravanti – condannato nel 1995 in via definitiva, insieme alla moglie Francesca Mambro e a Luigi Ciavardini, per la strage alla stazione – di essere il killer di Mino Pecorelli.

Nella sentenza che ha condannato Gilberto Cavallini si legge:
(…) vi sono plurime, convergenti dichiarazioni, fatte da persone diverse, e non possiamo certo credere che le avessero concordate (…), che Fioravanti uccise Pecorelli in veste di sicario su mandato di altri.

Fine terza puntata

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