15 Maggio 2024
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Cronaca

Omicidio Pecorelli: gli anni della menzogna

Marcello Astorri, amico del giornalista ucciso a Roma il 20 marzo del 1979.

«Mino mi disse che aveva una notizia su Avanguardia Nazionale». Arriva la testimonianza di Marcello Astorri, amico del giornalista ucciso a Roma il 20 marzo del 1979. Il suo nome è sull’agenda di Mino Pecorelli, eppure nessuno lo ha mai interrogato.

«Accompagnai Mino Pecorelli da Infelisi. Ci incontrammo poco prima del suo appuntamento, poi lui entrò nell’ufficio del giudice e ci rimase un quarto d’ora. Ci salutammo nel parcheggio del Tribunale. La sera scoprii che era stato ucciso». Marcello Astorri ha 86 anni ed era un amico di Mino Pecorelli. La mattina di quel 20 marzo 1979 accompagnò il giornalista da Luciano Infelisi, magistrato della Procura di Roma. Poche ore dopo, alle 20.40, Mino Pecorelli fu ucciso con quattro colpi di pistola calibro 7.65, uno esploso in pieno viso, in bocca, e tre alla schiena.

«Non sono mai stato interrogato – continua Marcello Astorri – eppure c’era il mio nome sulla sua agenda. Il giorno dopo l’omicidio di Mino fu pubblicato un trafiletto su un giornale con la notizia riportata dal giudice Infelisi che disse che lo aveva incontrato e che era con un suo amico».

A mettere nero su bianco l’appuntamento del 20 marzo 1979 è lo stesso Luciano Infelisi che al procuratore Giovanni Di Matteo, incaricato di condurre le indagini sull’omicidio, dichiarò che Pecorelli aveva promesso di consegnargli, a breve, alcuni documenti importanti.

«Dopo il suo incontro con Infelisi andammo al caffè Rosati per un aperitivo… Gli domandavo sempre cosa avrebbe pubblicato. Non era lui a dirmelo ma io a chiedere. Sapevo, perché me lo aveva detto Mino, che tra lui e Infelisi c’era uno scambio di informazioni e chissà perché quel giorno ero convinto che con Infelisi avesse parlato del caso Moro.No, Marcello’, mi disse, ‘stavolta la notizia viene da destra. Da Avanguardia Nazionale’. Mi sembrò molto soddisfatto. Mi disse soltanto che era un colpo grossissimo. Evidenziò questo fatto”.

Si lasciarono con una stretta di mano e quella fu l’ultima volta che Marcello Astorri vide il suo amico giornalista in vita.

Pecorelli, stando alle dichiarazioni di Astorri, avrebbe pubblicato una notizia su Avanguardia Nazionale. Eppure non ne parlò con il giudice Infelisi. Perché nel dettagliato resoconto presentato a chi indagava sull’omicidio del giornalista, Luciano Infelisi non nominò Avanguardia Nazionale né il suo fondatore, Stefano Delle Chiaie. «Quando fu arrestato in Venezuela ed estradato in Italia, Delle Chiaie consegnò documenti e borse proprio a Luciano Infelisi. Mino era già stato ucciso ma l’episodio dell’aereo lo ricordo bene. Ne parlarono per mesi». Marcello Astorri ricorda un episodio che costò al magistrato romano una censura da parte del Csm. Fu infatti Infelisi ad accogliere al suo arrivo a Ciampino, dopo 17 anni di latitanza, Stefano Delle Chiaie inseguito da un mandato di cattura per associazione sovversiva, banda armata e concorso in strage. Infelisi salì su quell’aereo e si fermò a parlare con Delle Chiaie a bordo del velivolo. Questo comportamento generò una polemica da parte dei magistrati titolari dell’inchiesta dal momento che Infelisi non era fra questi e che si trattò di un’azione, almeno in apparenza, presa autonomamente dallo stesso Infelisi.

Altro tassello da non trascurare è la voce riportata da più fonti secondo cui il giornalista, nei giorni appena precedenti all’agguato, era in attesa di una notizia da lui definita “esclusiva” per la quale «lo avrebbero ammazzato sia che l’avesse pubblicata sia che non lo avesse fatto».

Nel numero in edicola il 20 marzo del 1979, quindi diffuso lo stesso giorno in cui fu ucciso, Mino Pecorelli aveva scritto: «Attentati, stragi, tentativi di Golpe, l’ombra della massoneria ha aleggiato dappertutto, da Piazza Fontana al delitto del giudice Vittorio Occorsio, dal Golpe Borghese all’anonima sequestri, alla fuga di Michele Sindona dall’Italia». 

Erano gli anni ’70, gli anni del terrorismo nero e rosso. Erano gli anni degli omicidi e delle stragi, ma anche gli anni della menzogna. Si infangavano i pochi che raccontavano la verità: «Di Mino, dopo la sua morte, dissero che era un ricattatore. Una vera infamia. Io non sono un giornalista ma un pilota dell’Alitalia, da anni in pensione, però posso dire che Mino era bravo. Sul suo giornale ha sempre cercato di scrivere la verità scavando a fondo, cercando i contatti giusti. Perché non ho parlato prima? A parte il fatto che ora sono vecchio, c’è qualcuno che la dovrebbe pagare che è vivente. Che poteva e può ancora fare male».

L’audio intervista della quarta puntata sarà a breve disponibile sul nuovo canale podcast di ultimabozza.

Fine quarta puntata.

Leggi la terza puntata

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