3 Dicembre 2025
/ 3.12.2025

Pechino si propone come guida globale per l’IA

La proposta cinese di un organismo mondiale cambia il gioco. L’idea di un’autorità mondiale, se adottata, potrebbe ridisegnare equilibri geopolitici e definire il linguaggio comune dell’IA, incidendo su standard tecnici, responsabilità legale, trasparenza degli algoritmi, accesso ai dati e controllo sui sistemi più potenti

La Cina ha deciso di alzare il livello della partita. Nel pieno della corsa mondiale all’intelligenza artificiale, Pechino propone la creazione di un organismo internazionale per regolamentare l’IA e coordinare le diverse normative nazionali. L’idea, sottolineata da un’analisi pubblicata su “Nature è parte di una strategia geopolitica che punta a definire le regole del futuro digitale. Una partita che riguarda innovazione, diritti, sicurezza, potere economico e modelli di società.

La proposta cinese arriva mentre il quadro normativo globale è frammentato. L’unico trattato internazionale giuridicamente vincolante è la Convenzione quadro sull’IA adottata dal Consiglio d’Europa nel 2024, che obbliga i Paesi firmatari a garantire, tramite leggi nazionali, che le applicazioni di IA rispettino i diritti umani. Tutto il resto è volontario: sono soft law, raccomandazioni. Per una tecnologia che corre più veloce dei governi, è evidente che non basta.

Perché la Cina si muove

Pechino non nasconde di voler giocare un ruolo da protagonista nella rivoluzione dell’IA. Con il piano strategico IA+ e con regolamenti interni sempre più stringenti — come le misure del 2023 che disciplinano i servizi di IA generativa —punta a presentarsi come il Paese che ha già “ordinato” il proprio ecosistema e ora offre al mondo un modello di governance.

Dietro la retorica della cooperazione globale, è evidente l’obiettivo politico: diventare il punto di riferimento globale per le regole sull’IA, ruolo che fino a pochi anni fa sembrava spettare all’Europa e agli Stati Uniti. Chi scrive le regole, in una tecnologia che pervade economia, difesa, informazione e sanità, orienta anche il tipo di società che quella tecnologia costruisce.

E qui si arriva al nodo del problema. Il modello cinese è uno dei più centralizzati al mondo, con un ruolo dominante dello Stato, filtri rigidi sui contenuti e una visione dell’IA come strumento di ordine sociale. Proporlo come struttura di riferimento internazionale significa portare questo approccio al centro dell’arena globale.

Geopolitica dell’algoritmo

Dunque, proponendo un organismo globale sull’IA, la Cina punta a un doppio bersaglio. Da un lato, guidare l’accelerazione del mondo verso regole comuni (indispensabili per limitare i rischi legati alla crescita esponenziale dell’intelligenza artificiale) vicine ai propri standard. Dall’altro diventare il main partner di un’architettura multilaterale che bilanci il dominio tecnologico occidentale, soprattutto statunitense.

Questa proposta va letta perciò nella cornice di una battaglia più grande: la contesa per la leadership digitale del XXI secolo. Stati Uniti e Cina corrono per sviluppare i modelli più avanzati; l’Unione Europea prova a distinguersi come potenza normativa; Russia, India e i Paesi del Sud globale cercano un posto significativo nella catena del valore.

L’idea di un’autorità mondiale, se adottata, potrebbe ridisegnare equilibri geopolitici e definire il linguaggio comune dell’IA, incidendo su standard tecnici, responsabilità legale, trasparenza degli algoritmi, accesso ai dati e controllo sui sistemi più potenti.

La sfida dei diritti e dei modelli sociali

La governance dell’IA non è solo un tema tecnologico. È un confronto diretto tra modelli di società.
Da una parte, un approccio che vede l’IA come strumento per ottimizzare la produzione, rafforzare la sicurezza e sostenere lo sviluppo economico; dall’altra, una visione che mette al centro diritti, privacy, trasparenza e responsabilità.

Un organismo mondiale dominato da un singolo blocco geopolitico rischierebbe di imporre standard non universalmente condivisi. Al contrario, un’istituzione realmente multilaterale potrebbe garantire un equilibrio tra innovazione, libertà e protezione delle persone.

Il problema è che oggi non c’è un consenso internazionale su cosa sia un uso “responsabile” dell’IA, né su quali limiti imporre a sistemi che, se spinti al massimo, possono influenzare opinioni pubbliche, processi democratici, dinamiche di sicurezza globale.

Chi controllerà il controllore?

La proposta cinese è dunque rilevante, ma solleva domande cruciali. Chi guiderà l’organismo globale? Quali Paesi avranno voce in capitolo? Che rapporto ci sarà con le norme esistenti, come la Convenzione europea o l’AI Act dell’UE? E soprattutto: quale modello di società plasmeranno le regole comuni?

L’IA non è neutra. La sua governance ancora meno. Per questo la creazione di un’autorità mondiale non può essere letta come un fatto tecnico: è un elemento centrale della competizione per la guida del mondo digitale. La corsa è aperta.

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