Dopo oltre un decennio di battaglie giudiziarie, denunce ambientali e accese mobilitazioni civiche, la Corte d’Assise di Vicenza ha messo un punto fermo nella vicenda dell’inquinamento da Pfas che ha sconvolto il Veneto. Con una sentenza storica, giunta dopo sei ore di camera di consiglio, sono stati condannati 11 manager, ex dirigenti delle aziende Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation – tutte coinvolte nella gestione dello stabilimento chimico di Trissino – per un totale di 141 anni di reclusione. Le pene individuali vanno da 2 anni e 8 mesi fino a 17 anni e mezzo di carcere. Quattro imputati sono stati assolti.
Che cosa sono
I Pfas, acronimo di Sostanze Perfluoro Alchiliche, sono un vasto gruppo di sostanze chimiche artificiali, resistenti e persistenti, utilizzate in numerosi prodotti di consumo e applicazioni industriali. Sono noti per le loro proprietà idrorepellenti, oleorepellenti e resistenti al calore, ma sono anche molto persistenti nell’ambiente e nell’organismo umano.
Oltre 350 mila cittadini coinvolti
I giudici hanno riconosciuto, accogliendo l’impianto accusatorio della Procura, la piena responsabilità degli imputati per reati gravissimi: avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione non autorizzata di rifiuti, inquinamento ambientale e, in alcuni casi, anche reati fallimentari. Il presidente della Corte, Antonella Crea, ha letto la sentenza davanti a un’aula gremita, dove erano presenti anche esponenti delle oltre 300 parti civili ammesse, tra cui enti pubblici, cittadini e associazioni ambientaliste.
Un passaggio fondamentale della vicenda giudiziaria ha riguardato le richieste risarcitorie, che hanno superato complessivamente i 240 milioni di euro. Tra i risarcimenti riconosciuti spiccano i 58 milioni destinati al ministero dell’Ambiente, mentre numerosi Comuni veneti, le aziende sanitarie locali e le organizzazioni civiche hanno ottenuto riconoscimenti per il danno subito. La Regione Veneto, dal canto suo, si è costituita parte civile e ha denunciato il danno ambientale e sanitario come “irreversibile”.
L condotta dei manager, protrattasi per decenni, ha portato alla contaminazione di una delle più importanti falde acquifere d’Europa, utilizzata da 21 Comuni delle province di Vicenza, Verona e Padova, per un totale di oltre 350 mila cittadini esposti. Il tutto, senza che le aziende coinvolte – in particolare Miteni – prendessero le misure minime per prevenire il disastro o almeno per avvertire le autorità competenti. Questo è quanto emerso nel corso delle 134 udienze del procedimento, che Legambiente ha definito “il più grande processo ambientale nella storia giudiziaria italiana”.
La ribellione del territorio
Il percorso che ha portato a questo esito è stato lungo e drammatico. È stato anche grazie alla mobilitazione di associazioni locali come le “Mamme No Pfas”, che la vicenda è giunta all’attenzione dell’opinione pubblica. Le madri vicentine, preoccupate per la salute dei figli dopo aver scoperto valori anomali di Pfas nel sangue, hanno alzato la voce in nome del diritto all’acqua pulita. Il loro contributo ha influito significativamente nel tenere viva l’attenzione sul caso e nel sostenere la richiesta di giustizia in sede penale e civile.
Non meno importante è stato il contributo della comunità scientifica. Durante il processo sono stati presentati numerosi studi, tra cui quelli condotti dal Dipartimento di Prevenzione della Regione Veneto e dall’Istituto Superiore di Sanità. Un’indagine biomonitorata su oltre 500 soggetti residenti nelle aree contaminate ha rivelato concentrazioni di Pfas nel sangue notevolmente superiori rispetto ai valori di controllo. Dati inquietanti hanno inoltre confermato un eccesso di mortalità per cardiopatie ischemiche (+21% negli uomini), un incremento significativo di malattie cerebrovascolari, diabete mellito, demenza, ipertensione e patologie legate alla gravidanza e alla fertilità. Le mamme della zona rossa hanno riportato una maggiore incidenza di pre-eclampsia e diabete gestazionale, oltre a un aumento del 30% dei bambini nati con basso peso alla nascita.
Parallelamente al processo penale, un’altra sentenza – stavolta del Tribunale del lavoro – lo scorso mese aveva riconosciuto per la prima volta in Italia il nesso causale tra l’esposizione ai Pfas e un caso di tumore. Il giudice ha condannato l’Inail a corrispondere una rendita ai familiari di Pasqualino Zenere, ex operaio della Miteni morto nel 2014 per carcinoma uroteliale, attribuito all’esposizione prolungata alle sostanze tossiche nello stabilimento chimico.
Ora le bonifiche
Legambiente ha accolto con soddisfazione la sentenza. Per Stefano Ciafani, presidente nazionale dell’associazione, è una “vittoria per il popolo inquinato”, frutto di anni di battaglie e denunce, a partire da quella iniziale del Circolo Perla Blu di Cologna Veneta nel 2014. Legambiente Veneto e il circolo locale si sono costituiti parte civile nel processo e hanno ribadito la necessità che questa sentenza spinga le istituzioni a procedere finalmente alla bonifica del sito industriale. Solo pochi giorni fa, il Comune di Trissino ha approvato il documento di analisi del rischio propedeutico al piano di bonifica. Il progetto dovrà essere presentato entro sei mesi.
Ma il cammino è ancora lungo. Resta infatti irrisolto il problema della falda acquifera contaminata, che non è ancora oggetto di intervento strutturale. Legambiente ha rinnovato l’appello al Governo e alla Regione Veneto affinché si accelerino i piani per il disinquinamento e si approvino nuove normative a livello nazionale. L’assenza di limiti europei vincolanti per le concentrazioni di Pfas nelle acque potabili rappresenta ancora oggi un grave vuoto normativo.
La sentenza di Vicenza segna una svolta per la giustizia ambientale italiana. Stabilisce un precedente giudiziario fondamentale, riconoscendo la responsabilità diretta delle aziende chimiche nella contaminazione dell’ambiente e nella compromissione della salute pubblica. Ma è anche un monito: senza una riforma strutturale delle politiche ambientali e sanitarie, casi come quello del Veneto rischiano di ripetersi.
Ora è il tempo della bonifica, della prevenzione, della legge. E della memoria, perché le ferite aperte dai Pfas non restino solo cicatrici.