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Esteri

Quando Israele diventa insostenibile per gli USA? Lo sa Biden

03.02.2024

Sanzioni economiche contro quattro estremisti israeliani accusati di intimidazione e aggressione nei confronti di residenti nella West Bank. È arrivato il momento di assistere al segnale più forte della distanza che separa l’amministrazione democratica di Joe Biden dal primo ministro conservatore “Bibi” Netanyahu. La questione palestinese apre un nuovo fascicolo che mette gli USA davanti ad una domanda fondamentale: quanto è strategico insistere a sostenere Israele fino in fondo?

Cosa sono quattro persone rispetto a un popolo? In senso quantitativo, ovviamente nulla. Ma in senso politico o qualitativo, possono diventare un messaggio. È quello che ha voluto mandare il presidente statunitense Joe Biden nel decretare sanzioni economiche contro quattro estremisti israeliani accusati di intimidazione e aggressione nei confronti di residenti nella West Bank, l’unica zona sotto controllo diretto dell’Autorità Nazionale Palestinese. Tradotto in altri termini, è il segnale più forte della distanza che separa l’amministrazione democratica di Joe Biden dal primo ministro conservatore “Bibi” Netanyahu.

A quattro mesi dalla brutale strage di israeliani compiuta da Hamas, il provvedimento indica come il supporto USA per Israele non sia una cambiale in bianco. Il riconoscimento del diritto alla legittima difesa, come sancito dalla Carta dell’ONU, e l’impegno per il rilascio degli ostaggi ancora in mano ai terroristi non significano in automatico carta bianca su ogni altro aspetto del contenzioso israelo-palestinese. Di qui la decisione, senza precedenti nel lungo e stretto rapporto tra le due potenze occidentali. La durezza della risposta israeliana, ma prima ancora il suo protrarsi, ha messo Biden in difficoltà sul piano internazionale e su quello interno. La durata della controffensiva, con la distruzione di molti edifici civili cercando di colpire le istallazioni di Hamas, ha superato quella dello sdegno internazionale per la brutalità degli attacchi.

Pur temendo Hamas come strumento dell’Iran sciita, il protrarsi dello scontro ha rapidamente eliminato gli spazi di manovra dei Paesi arabi moderati. Neanche l’evidente sincronizzazione di Hamas con le azioni di Hezbollah e degli Houthi, anch’essi manovrati da Teheran, si è trasformato in un rinforzo dell’efficacia dell’azione diplomatica. Prima vittima della situazione è lo scambio tra il rilascio degli ostaggi e una tregua più o meno lunga. Che le trattative siano in corso, con un ruolo decisivo degli USA, che non hanno esitato a schierare l’ambasciatore William Burns, oggi direttore della CIA, non è un mistero. Al tempo stesso, le ripetute fughe di notizie stentano a tradursi in risultati concreti.
La sanzione agli estremisti è però anche un messaggio per le frange più progressiste del partito democratico statunitense, sempre più critiche nei confronti d’Israele. Benché Trump inizi a perdere consensi nei sondaggi e abbia le casse sempre più vuote a causa delle spese legali addebitate alla campagna elettorale, Biden non può permettersi di perdere neanche un voto. Ecco, quindi, che mostrarsi imparziale – punire gli estremisti israeliani senza abbandonare le vittime – serve a tenere dentro gli anti-israeliani senza regalare i filo-israeliani alla destra.

È probabile che saranno in molti a considerare le sanzioni ai quattro estremisti troppo poco e troppo tardi. Ma è altrettanto chiaro che Biden ha rotto un tabù e agito per rinforzare l’immagine degli USA schierati su posizioni di buon senso contro tutti gli estremismi.  Basterà questo pragmatismo per evitare la fuga verso gli opposti estremismi di Trump e della sinistra dem?

 

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