12 Giugno 2025
/ 11.06.2025

Sierra Leone: sono le comunità locali a proteggere le foreste

La Ong Environmental Foundation for Africa ha coinvolto gli abitanti dei villaggi per pattugliare quotidianamente la foresta e bloccare le attività che la impoveriscono

Vicino a Freetown, in Sierra Leone, nel cuore di un parco nazionale e di una foresta tropicale che dovrebbe essere protetta, una donna – vedova e madre di sette figli – dà fuoco a decine di tronchi. Il suo intento è quello di produrre carbone da legna, una delle attività illegali che minacciano in modo drammatico il paesaggio di questo Paese, l’undicesimo al mondo più vulnerabile ai cambiamenti climatici secondo il Notre Dame Global Adaptation Index. Vicino alla donna, una pila di diversi metri comincia a fumare.

Per lei, come per gli altri che fanno la sua stessa attività e tutti in condizioni di estrema povertà, è una questione di sopravvivenza. Con il volto segnato dalla fatica, la donna, 45 anni, racconta la morte del marito quattro anni fa. Per nutrire i figli e pagare le tasse scolastiche, ha dovuto svolgere lavori informali: spaccare pietre nei cantieri edili. “Era diventato troppo duro… ho deciso di venire nella foresta a produrre carbone”, dice, da due anni. “Non ho altra scelta…”.

Una guerra tra poveri

Ma è una guerra tra poveri quella che si combatte in queste regioni. Davanti a lei, un uomo, a capo di un’unità di abitanti del villaggio incaricata di sorvegliare le loro foreste, grida: “Tu dici che non ti importa, che gli alberi verranno ripiantati, ma di questa deforestazione saranno i tuoi pronipoti a pagare il prezzo!”.

Dei 18.000 ettari di foresta del parco, quasi un terzo (5.600 ettari) è andato perso o gravemente degradato dal 2012. Il Programma alimentare mondiale (Pam) denuncia che solo nel 2024 sono scomparsi 15 ettari, l’equivalente di 1.330 campi da calcio. Eppure, secondo l’Unesco, quest’area ospita tra l’80 e il 90% della biodiversità della Sierra Leone. Il parco è anche minacciato da piantagioni di marijuana — il paese è dilaniato da problemi legati alla droga — e da accaparramenti di terre dovuti alla pressione demografica.

Proprio l’organizzazione di squadre di volontari sorte in maniera spontanea per proteggere le foreste è l’elemento nuovo di una situazione che sta portando alla deforestazione tutta la zona del Parco nazionale che circonda la capitale Freetown. Gruppi di uomini, sotto 35°C di caldo umido, si sfiniscono in un lavoro estenuante: addentrarsi nel parco e sulla montagna per trovare i siti illegali di produzione del carbone di legna, un combustibile economico che per molti abitanti è l’unico modo per cucinare, a causa dei continui blackout e dell’alto costo dell’energia. Una squadra dell’agenzia stampa Afp ha potuto visitare uno di questi luoghi.

I rapporti dei volontari

I tronchi vengono accatastati, coperti di pietre e bruciati per giorni e notti. “Anche di notte, se si accende un fuoco, chiamo i miei uomini e andiamo sul posto”, dice Caesar Senesie, uno dei volontari. “Abbiamo ricevuto attrezzi e stivali, li usiamo per contenere gli incendi”. Questa iniziativa è guidata dalla Ong Environmental Foundation for Africa (Efa), incaricata per conto del governo e del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo di restaurare 2.000 ettari del parco da qui al 2028. “La gente continua queste attività illegali perché pensa di poterlo fare impunemente”, lamenta Tommy Garnett, noto attivista e fondatore dell’Efa, che aggiunge: “Tutta questa situazione sta portando alla distruzione del nostro patrimonio ambientale a una velocità allarmante”.

L’Efa ha voluto investire sul coinvolgimento delle comunità locali, che sono le prime a soffrire della deforestazione. Una situazione che si è resa necessaria di fronte all’inefficacia e alla corruzione di parte delle guardie forestali, spesso mal equipaggiate e mal pagate: “Dal 7 febbraio paghiamo gli abitanti dei villaggi per pattugliare quotidianamente. Abbiamo scoperto molto di più su ciò che accade nella foresta in questi ultimi mesi che nei dieci anni precedenti di pattugliamenti ufficiali”, sottolinea Garnett.

La Ong ha anche ripiantato 103.000 alberi nell’ultimo anno, con l’obiettivo di arrivare a 500.000 entro il 2028. I volontari redigono rapporti, raccolgono prove e fotografie che permettono di organizzare operazioni delle autorità. “Noi abitanti dei villaggi siamo la soluzione per proteggere la foresta”, assicura Caesar Senesie, contemplando le chiome verde smeraldo delle montagne.

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