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Cronaca, Lavoro

Smart working, convince meglio la vecchia scuola

19.09.2024

La prima a ripensare la propria decisione è la Big tech presente in tutto il mondo, Amazon. Si ripassa dagli obiettivi della riduzione dei costi agli obiettivi della maggiore produttività per potenziare efficienza e cultura aziendale. La tendenza è confermata anche in Italia. Tutti i dettagli.

Doveva cambiare il mondo, alla fine non è cambiato nulla o quasi. Era il tempo del Covid quando lo smart working era diventato l’uovo di Colombo, anche per il futuro: meno costi per le aziende, più felicità per i dipendenti, una formula perfetta che anche al rientro nella (nuova) normalità doveva funzionare. E invece, a poco a poco, si sta facendo marcia indietro.

La notizia di questi giorni è che Amazon ha annunciato a tutti i suoi lavoratori che, a partire da gennaio, dovranno tornare in ufficio cinque giorni a settimana invece degli attuali tre decisi solo un anno fa. La compagnia di Jeff Bezos è sempre stata più rigida rispetto alle altre Big Tech, ed infatti non ha mai concesso benefit particolari o spazi alternativi per il relax (tipo i campi da basket o le sale videogame che si vedono a Google). Però la svolta è comunque importante, anche perché riportare 350mila persone nelle varie sedi vuol dire anche un’alta occupazione di ruoli che, secondo i sindacati, potrebbe diventare licenziamenti. Anche perché i manager vedranno aumentati i poteri di controllo sui sottoposti, «con l’obbiettivo di snellire la struttura organizzativa». Andy Jassy, il CEO di Amazon, ha spiegato che il ritorno parziale in ufficio negli ultimi 15 mesi ha rafforzato la convinzione che si debba tornare tutti in presenza. Questo per «garantire maggiore produttività, maggiore velocità operativa e cultura aziendale». E siccome nulla viene lasciato al caso, per monitorare la presenza si prevede il ritorno del controllo via badge, mentre in cambio verranno ristrutturare a ampliate le sale riunioni e le cabine dove chiudersi per le telefonate (sai che consolazione!).

Inutile dire che i dipendenti di Amazon si sono già scatenati sui social, anche perché le rivali tecnologiche – pur cancellando lo smart working totale – consentono ancora due o tre giorni a settimana di lavoro a casa. Un sondaggio condotto da Stanford ha rilevato che il 40% dei lavoratori ha già sperimentato nel periodo post pandemia almeno due cambiamenti nelle regole aziendali relative al lavoro in presenza. Tanto che gli uffici negli Stati Uniti hanno raggiunto circa il 50% della loro occupazione pre-pandemia (numero in salita), mentre il 25% delle giornate lavorative retribuite è ancora svolto da casa (numero in discesa). Anche in Italia la tendenza è confermata: lo smart working in realtà è finito il 31 marzo, con le nuove regole che hanno obbligato lavoratori fragili e genitori con figli sotto i 14 anni a tornare in ufficio. E le ultime rilevazioni dicono che solo il 14,9% dei dipendenti continuano a svolgere le proprie attività da remoto, ma soprattutto che solo il 4.4% (contro il 9% della media Ue, la Finlandia è in testa con il 22,4%) riesce a farlo per più della metà per proprio monte ore lavorativo. Come dire, insomma, che se il lavoro è agile, le nostre aziende lo sono molto meno. E che il caso Amazon potrebbe essere solo il primo di un ritorno alla normalità, quella che non ci piaceva.

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