In un contesto globale segnato da crescenti rischi climatici e trasformazioni economiche, investire in sostenibilità non è solo una scelta etica, ma una necessità strategica per le imprese. Secondo il rapporto “The Cost of Inaction: A Ceo Guide to Navigating Climate Risk” del World Economic Forum e Boston Consulting Group, le aziende che non adottano misure concrete per affrontare i rischi climatici potrebbero vedere una riduzione dei profitti fino al 25% entro il 2050. A livello globale, il Pil potrebbe contrarsi del 22% entro il 2100 senza interventi adeguati.
Al contrario, investire nella resilienza climatica offre ritorni significativi: ogni dollaro investito può generare un ritorno economico tra 2 e 19 dollari, prevenendo perdite future. Dal 2000 a oggi, gli eventi climatici estremi hanno causato danni per 3.600 miliardi di dollari, di cui 1.000 solo tra il 2020 e il 2024, principalmente a causa di tempeste e uragani.
L’economia verde sta emergendo come un motore di crescita: il suo valore è previsto aumentare da 5.000 miliardi di dollari a 14.000 miliardi entro il 2030. Settori chiave includono energia alternativa (49% del mercato), trasporti sostenibili (16%) e prodotti eco-friendly (13%).
Agire subito
Lo studio mette in evidenza l’urgenza di agire anche perché gli assicuratori, in particolare in Europa e Stati Uniti, stanno ritirando la copertura da aree ad alto rischio climatico. Il valore degli asset fossili potrebbe calare del 35% entro il 2030, con conseguenze in diverse industrie; mentre la domanda globale di carbone diminuirà del 90% entro il 2050, rendendo gli impianti costruiti dopo il 2010 non più economicamente sostenibili.
Nonostante il crescente riconoscimento dei rischi climatici, molte aziende sembrano sottostimarne l’entità. Un’analisi dei bilanci mostra che le imprese riportano impatti finanziari stimati attorno all’1-3%, quando in realtà, secondo gli scenari di Bcg, la perdita reale potrebbe oscillare tra il 5% e il 25% nei prossimi decenni.
Anche a livello macroeconomico gli investimenti sono vantaggiosi sul lungo termine: per mantenere il riscaldamento sotto i 2 gradi centigradi, sarebbe necessario investire circa 2%del Pil globale in mitigazione e un ulteriore 1% in adattamento, evitando perdite tra il 10% e il 15% del Pil mondiale entro la fine del secolo.
Regno Unito e Cina al via
A livello globale, la transizione verso un’economia sostenibile è già in atto. Nel Regno Unito, il settore “net zero” è cresciuto del 10% nel 2024, tre volte più rapidamente rispetto all’economia generale, generando 83 miliardi di sterline e impiegando quasi un milione di persone con salari superiori alla media nazionale.
In Cina, gli investimenti in energia pulita hanno raggiunto i 6,8 trilioni di yuan nel 2024, contribuendo al 10% del Pil nazionale. Settori come veicoli elettrici, batterie e energia solare hanno trainato questa crescita, evidenziando l’importanza strategica della sostenibilità per la sicurezza energetica e lo sviluppo economico.
Anche l’Unione Europea sta accelerando la transizione energetica, con l’obiettivo di aggiungere 89 gigawatt di nuova capacità rinnovabile nel 2025, un record assoluto, nonostante le sfide legate ai permessi e alla riduzione degli incentivi governativi.
Italia leader
Secondo il rapporto GreenItaly di Fondazione Symbola e Unioncamere, nel quinquennio 2019-2023, nel nostro Paese sono state 571.040 le imprese che hanno effettuato eco-investimenti pari al 38,6% del totale ovvero più di 1 su 3.
Sotto il profilo dell’occupazione, alla fine dello scorso anno le figure professionali legate alla green economy rappresentavano il 13,4% degli occupati totali, 3.163 mila unità. Nel 2023 i nuovi contratti attivati di queste figure sono stati pari a 1.918.610, il 34,8% dei contratti totali previsti nell’anno (circa 5,5 mln), con un incremento di 102.490 unità rispetto alla precedente rilevazione.
Tra le aree aziendali più interessate troviamo le aree della logistica (incidenza 88,8%), della progettazione e sviluppo (86,7%) e le aree tecniche (80,2%). Guardando in maniera allargata alla richiesta di competenze e cultura green, nel 2023 – su un totale di quasi 5,5 milioni di contratti previsti nel mercato del lavoro – questa conoscenza è stata ritenuta necessaria nel 79,4% dei casi.
L’Italia si conferma leader sul fronte del recupero di materia, un campo in cui il Paese, povero di materie prime, da tempo primeggia. Secondo Eurostat, la capacità nell’avvio a riciclo dei rifiuti totali (urbani e speciali) in Italia ha raggiunto il 91,6% (2022), un tasso di gran lunga superiore alle altri grandi economie europee, Germania (75,3%), Francia (79,9%) e Spagna (73,4%), e alla media Ue-27 (57,9%).