22.04.2024
Un numero eccessivo di turisti può avere un impatto negativo sull’ambiente e sulle dinamiche locali, compromettendo la vivibilità del luogo e la sua autenticità. Venezia è rappresentativa di alcuni fenomeni sempre più preoccupanti: overtourism e ipercontemporaneità. L’approfondimento.
Nella zona di Cannaregio, non lontano dalla stazione di Venezia Santa Lucia, c’è un ex teatro, il Teatro Italia, risalente al secolo scorso, che pochi anni fa è diventato un Despar. Era un luogo in cui si produceva arte, con affreschi sulle pareti e sul tetto, ma ora si può fare la spesa e, se non è esattamente come vedere uno spettacolo, è comunque un’esperienza che attrae visitatori e non. Le polemiche sulla riqualificazione del posto non sono mancate, però «è meglio questo, piuttosto che lasciare che questa struttura storica resti chiusa», mi dice una studentessa dell’ateneo veneziano. Lungo le vie principali bazzicate dai turisti, vicino Rialto e Piazza San Marco, si alternano osterie tipiche e botteghe ai grandi marchi di abbigliamento e oggettistica varia, a ristoranti etnici e locali di street food.
Niente di diverso da qualunque altra città globalizzata, però è sufficiente uscire fuori dai circuiti principali e perdersi, letteralmente, tra le viuzze strette, per trovare angoli di intima autenticità dove il visitatore medio non è ancora approdato. Venezia è storica, resa unica dalla sua geomorfologia e il suo assetto ambientale e per tutta l’arte disseminata negli spazi della città, però negli anni scorsi ha rischiato di finire nella lista dei Beni UNESCO “in pericolo” (Patrimonio dal 1987), a causa della crisi ambientale che vive e dell’incessante aumento dei turisti.
Quest’anno, dal 25 aprile fino a luglio, in alcuni giorni specifici, per entrare in giornata in visita a Venezia occorrerà prenotarsi e pagare un contributo di 5 euro. È il primo caso in Italia di questo tipo di sperimentazione, con l’obiettivo di regolare i flussi e favorire un turismo sostenibile e consapevole.
Il sovraffollamento turistico, overtourism, è un fenomeno non solo veneziano, è globale ed è complicato, definito da fattori socio-ambientali, economici, urbanistici. Un numero eccessivo di turisti può avere un impatto negativo per l’ambiente e le dinamiche locali, compromettendo la vivibilità di un luogo e l’autenticità dello stesso. A Venezia, oggi si contano poco meno di 50mila residenti, il numero continua a scendere, i visitatori son sempre di più. Tanti decidono di trasferirsi fuori dalla città antica, e anche chi a Venezia c’è per studiare o lavorare preferisce trovare una sistemazione nelle aree urbane limitrofe. Il costo della vita inevitabilmente è aumentato, sono aumentati gli affitti e questo spinge la gente ad andar via. Molti degli spazi abitativi sono impiegati per farne un alloggio turistico o una struttura alberghiera. In diversi periodi dell’anno la viabilità è compromessa, raddoppiano i tempi di spostamento, si creano disagi.
Eppure, nelle narrazioni della gente locale sembra ci sia un aspetto che turba forse persino di più della cattiva gestione del flusso turistico: è questo atteggiamento ipercontemporaneo che consiste nell’attraversare i luoghi senza prestare troppa attenzione alla loro componente identitaria e tradizionale.
Quando chiedo cosa pensano della nuova iniziativa di imporre una tassa, le persone del luogo sorridono e mi ricordano che «i turisti qui ci sono sempre stati», come prima o più di prima non importa. Allo scetticismo di qualcuno, che dice «tutti sono liberi di viaggiare e non si faranno intimorire», si contrappone la speranza di qualcun altro, secondo cui «potrebbe essere un modo per attirare chi è davvero interessato a visitare la città» e risollevare la qualità del turismo. Perché è vero, la questione è soprattutto qualitativa: per buona parte della massa turistica che arriva sulla laguna non è una priorità conoscerne la sua storia e la tradizione, che poi sono ciò che la rendono nota. Ed è chiaro, se manca l’interesse per queste cose, allora mancano anche la cura e l’attenzione per i luoghi.